Nella testa di Di Maio. La confusione nel M5s che il leader può confessare soltanto a se stesso

Valerio Valentini

“Ormai mi fido solo di Fraccaro”. Il chiarificatore monologo interiore del capo che non conta più. Con la paura di fare il capro espiatorio, tra i rompiballe del Maxelà

Roma. Eccoli, già li vedo: tutti lì con il bicchiere in mano, la tartina nel piatto. Beati loro, che qui a Coppelle riescono a venirci una sera sì e l’altra pure, beati loro; e poi rompono pure le scatole. Stasera, poi, figuriamoci: adesso verranno tutti a chiedermi come mai ho fatto uscire questo post sul Blog alle nove e un quarto, poco prima di venire. Lo chiedano ai loro colleghi senatori, che da dieci giorni scrivono a Beppe, gli chiedono d’intervenire, di destituirmi. E io dovrei restare qui, ad attendere la mia fine?

   

Il Maxelâ, però, è sempre un bel posto. Non fosse che ora partirà la trafila delle lamentazioni. E infatti. La prima è Giulia Sarti che viene a lamentarsi per il voto su Rousseau. E magari si lamenta perché non ho rispettato lo Statuto, che imporrebbero un preavviso di almeno 24 ore tra la convocazione della consultazione e il suo inizio. Le regole… Lei mi parla di regole. Lei che se le regole le facessimo rispettare sarebbe già stata espulsa per la storia dei mancati rimborsi. Dice che non candidandoci in Emilia-Romagna rischiamo di ammazzare il M5s proprio nella terra dove di fatto è nato, nel 2007?

  

Tanto è sempre colpa mia, no? Un po’ di autocritica, loro, mai. Erano una dozzina, tra deputati e senatori, e non sono riusciti a mettersi d’accordo. In Romagna erano favorevoli ad andare col Pd: lo era il capogruppo in regione Andrea Bertani e anche Raffaella Sensoli, che magari erano stati convinti da qualche promessa di assessorato da parte di Bonaccini, e lo erano anche lei, la Sarti, e il senatore Marco Croatti. Ma gli emiliani no, loro non volevano manco sentirlo nominare, il Pd. Mica lo sanno, loro, che Maria Edera Spadoni, reggiana “testa quadra”, quando stavamo facendo il governo minacciò di dimettersi da vicepresidente della Camera se avessimo dato un ministero a Graziano Delrio, che a Reggio era stato sindaco. Ecco con chi devo avere a che fare, io. E poi quelli del Pd se la prendono con me, dicono che non faccio nulla per cementare questa alleanza. Glielo chiesi, a Zingaretti, quando stavamo trovando l’accordo a fine agosto: “Possiamo fidarci di Renzi?”. E lui, categorico: “Certo”. E infatti due giorni dopo ha fatto la scissione. E’ lì che si è rotto l’equilibrio, e l’hanno rotto loro: ora pretendono che io mi lasci sacrificare?

  

Come se non lo sapessi che Franceschini e Orlando parlano con tutti i miei ministri per irretirli, per farmi terra bruciata intorno. E pure con Grillo, parlano: è lui che gli garantisce che l’alleanza si farà, togliendomi così potere negoziale. E Patuanelli, poi, ormai è l’eroe del Nazareno. Per non dire di D’Incà. Solo di Fraccaro, ormai, mi fido. Per fare l’alleanza organica col Pd, c’è bisogno che salti la mia testa: ecco perché non voglio. E poi io di sinistra non sono mai stato, al liceo mi candidai rappresentante d’istituto proprio perché mi ero stufato di tutte quelle zecche. “Di Maio non controlla i suoi gruppi”, mi accusano dal Pd. Che ci provino loro, a governare questa banda di matti: prima almeno erano solo i senatori a fare i capricci, ora alla Camera è anche peggio. Sono sei mesi che litigano per fare il capogruppo: quattro votazioni e un sondaggio interno, e ancora niente. Spadafora mi dice che devo parlarci di più, coi deputati: martedì scorso allora ho fatto un’assemblea, e su 220 si sono presentati sì e no in ottanta.

 

Dice: “Fai un evento più informale”. E allora ho organizzato ’sto aperitivo al Maxelâ. Virginia già è andata a ballare: magari se lei mi restava accanto, mi tampinavano meno. E invece ecco, mo’ ci mancava solo Tucci, che è calabrese e quindi pure lui sarà furioso. La fanno facile loro: poi le campagne elettorali devo farmele tutte io. Per l’Umbria avevamo fatto un doodle, chiedendo ai parlamentari di partecipare: in quindici hanno risposto, e hanno fatto degli eventi in cui stavano, a gruppi di sei o sette, sotto lo stesso gazebo. Sai che copertura del territorio…

 

Ma poi lo capite o no, che se ci presentiamo in Emilia e prendiamo il 5 per cento, magari determiniamo la sconfitta del Pd e diveniamo il capro espiatorio? Così poi cade il governo? Ma io non voglio andare a votare. Quello è Rubei, il mio portavoce, che è convinto che dobbiamo evitare l’emorragia di voti a destra, e quindi mette in giro la voce che rimpiango Salvini. Ma figurati se Salvini mi riprende: lui fa finta per convincermi a rompere col Pd, ma se io stacco la spina, lui un attimo dopo si sfila, e tutto precipita. E allora che faccio? Torno a Pomigliano?