Il capogruppo di Liberi e Uguali alla Camera (a sinistra) accanto al ministro della Salute Roberto Speranza (foto LaPresse)

Fornaro (Leu) dice che senza proporzionale il governo non c'è

Valerio Valentini

La via maestra, secondo il capogruppo alla Camera di Liberi e uguali, resta quella di "introdurre una soglia di sbarramento ragionevole e poi lasciare che le maggioranze di governo si formino in Parlamento"

Roma. La formula retorica è quella canonica. “Garantiamo lealtà, ma pretendiamo altrettanta lealtà”. E se ricorre a parole di chiarezza, Federico Fornaro, è perché una certa confusione comincia ad agitarsi, tra i corridoi di Montecitorio, quando si parla di legge elettorale. “Noi siamo stati ai patti – dice il capogruppo di Leu – e abbiamo votato il taglio dei parlamentari. Chiediamo anche ai nostri alleati di rispettare quel che si era stabilito sia nell’accordo di governo, sia nel documento dei capigruppo di maggioranza. In entrambi si riconosce che, col taglio dei parlamentari, si aggravavano i problemi di rappresentanza di partiti politici e comunità territoriali. Se la base di partenza condivisa è questa, è evidente che solo la formula proporzionale può aiutare a correggere queste storture. Sento invece già discussioni su modelli presi in prestito dall’estero, che mi convincono poco”. Ce l’ha con Andrea Orlando, e con la sua predilezione per la legge elettorale spagnola. “Se è la stabilità che si cerca, non ritengo saggio prendere a riferimento un sistema dove, nel giro di due anni, si è votato tre volte. Ma al di là dei singoli esempi, credo che si debba cucire una legge elettorale su misura del nostro paese, e non comprare abiti di altre nazioni. Prima di ragionare sul tetto, accordiamoci sulle fondamenta della casa”.

 

E le fondamenta, per Fornaro, non possono che essere proporzionali. “Ma è solo la base. Poi, bisognerà ragionare sui correttivi per garantire che, oltreché rappresentativo, il parlamento sia anche decidente. E si può pensare a una soglia di sbarramento che non necessariamente deve essere alzata fino al 5 per cento, o a un premio di maggioranza che però, come ci ha ammonito la Consulta, non deformi la proporzionalità del voto. E insomma spero che si avvii al più presto un confronto innanzitutto tra le forze di maggioranza, perché la scadenza di dicembre che ci siamo dati è dietro l’angolo. Evitiamo di approvare, di nuovo, la legge elettorale a ridosso del voto, a seconda delle convenienze del momento”.

 

E però, alla fine, gli interessi di parte è inevitabile che riemergano, e che la scissione di Matteo Renzi induca alcuni dirigenti del Pd a rifuggire il proporzionale. “Rispetto la discussione interna al Pd, che d’altronde è nato con una vocazione maggioritaria. Ma è chiaro che l’irruzione sulla scena di Italia viva rende più complicato promuovere progetti di tipo maggioritario, se non in una logica puramente difensiva. E però eviterei, tanto più dopo il taglio dei parlamentari, di ipotizzare sistemi elettorali dal corto respiro disegnati per impedire l’espansione di un certo partito, anche perché poi queste strutture non reggono. Anzi, in una logica di maggioritario imposto dall’alto, ma in mancanza di partiti dalla forte identità, per eterogenesi dei fini si produce questa paradossale proliferazione di forze politiche. Anche perché per vent’anni si è rincorso un bipolarismo che ora è reso impossibile dalla presenza del M5s”.

 

E non è da escludere che qualcuno, al Nazareno, vagheggi un mantenimento del proporzionale per costringere Luigi Di Maio ad accettare l’idea di ricomporre, col Pd, un nuovo polo progressista. “Ricordo, però, che uno dei difetti del maggioritario all’italiana è stato proprio quello di incoraggiare la formazione di coalizioni artificiali, col solo obiettivo di strappare un voto in più rispetto all’avversario, che poi si sono rivelare incapaci di reggere l’urto del governo. Si possono favorire intese pre-elettorali, certo, magari con premi alla lista non rigidi o con un doppio turno di collegio alla francese. Tutte cose, ripeto, di cui si potrà discutere dopo aver garantito le fondamenta del nuovo sistema. E tuttavia, la via maestra, in uno schema proporzionale, credo che sia quello di introdurre una soglia di sbarramento ragionevole e poi lasciare che le maggioranze di governo si formino in Parlamento. Il che, come dimostra l’esito di questa crisi agostana, permette anche di abbattere i muri di incomunicabilità tra i partiti. E non è un vantaggio di poco conto”.

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