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Niente tappe forzate sulla legge elettorale

Valerio Valentini

Zingaretti, Di Maio, Conte e Renzi e quelle convergenze parallele per rallentare la riforma

Roma. E ora? “Ora dobbiamo governare fino al 2023”, dice il grillino Stefano Lucidi, mentre esce dall’Aula del Senato. E nel dirlo, sottintende l’ovvio: “Governare col Pd, certo”, conferma. “Del resto – prosegue – era un incontro che stava nel destino di entrambi. Dal 2013 al 2018 abbiamo dovuto spiegare perché avevamo rifiutato l’invito di Bersani. Poi, è toccato al Pd giustificare la strategia dei popcorn. Ora, dovremo essere bravi, nei prossimi tre anni, a dimostrare le ragioni di questo accordo”. A Roma, e non solo. E qui Lucidi, grillino di Spoleto che ha dovuto gestire la trattativa che ha portato all’accordo per le regionali del 27 ottobre, sospira: “Una volta che ci si lega anche sui territori, poi è più difficile tornare indietro. Anche perché ora noi abbiamo Giuseppe Conte, che ci permette di essere credibili e di attrarre classe dirigente nuova anche a livello locale”.

 

Siamo, insomma, alla teorizzazione del nuovo centrosinistra organico. Quello prospettato dai dem Dario Franceschini e Goffredo Bettini, e rilanciato, con gran scorno dei barricaderi a cinque stelle, dai grillini Vincenzo Spadafora e Giorgio Trizzino. “La vera svolta è che ora non abbiamo più un alleato che, come faceva Salvini, minaccia ogni giorno di andare a votare”, dice il Riccardo Ricciardi, deputato del M5s che un tempo arrivava a Montecitorio in kefiah e scarponi, mentre ora è impeccabile nella sua camicia bianca con tanto di fermacravatte laccato d’oro, una mise più acconcia a un aspirante vicecapogruppo (lo diventerà a breve, pare, se Francesco Silvestri la spunterà nella guerra di successione grillina a Francesco D’Uva). “E non essendoci più questa pistola sul tavolo – continua Ricciardi – è chiaro che c’è un lavoro di prospettiva più ampia”. E Di Maio l’accetterà questa prospettiva che inevitabilmente lo pone all’ombra di Conte? “Lo sa anche Luigi – risponde, sibillino, Ricciardi – che se oggi chiedessimo a Rousseau di indicare il nostro candidato premier, i due terzi voterebbero Conte”.

 

E se questo è vero, allora si capisce anche perché, a pochi metri da Ricciardi, Graziano Delrio predica calma: “Sulla legge elettorale non abbiamo una fretta indiavolata”. Federico Fornaro, capogruppo di Leu a Montecitorio, ricorda che “di solito, quando si cambia la legge elettorale, pochi mesi dopo si va al voto”. E il suo omologo del Pd concorda: “Appunto, prima pensiamo a fare la legge di Bilancio”, dice Delrio. Ed è così che salta il vincolo che appariva indissolubile, qualche settimana fa: quello tra il taglio dei parlamentari e la legge elettorale. “Resta l’accordo politico, perché è chiaro che con la riduzione di deputati e senatori si dovrà correggere il sistema di voto per evitare che in almeno sei regioni le minoranze restino senza rappresentanza al Senato. Ma non ci sarà alcun vincolo formale”. E dunque oggi, nella riunione dei capigruppo alla Camera, si calendarizzerà il quarto e decisivo passaggio in Aula della riforma costituzionale voluta dai grillini: entro metà ottobre il taglio dei parlamentari sarà approvato. Poi, per parlare di legge elettorale, ci sarà tempo.

 

Che, d’altronde, è quello di cui ha bisogno questa alleanza demogrillina, ancora allo stato embrionale, per prendere sostanza. S’immaginava un percorso a tappe forzate, sulla legge elettorale. Poi la scissione di Renzi ha suggerito a tutti di rallentare, anche per evitare che l’ex premier avesse poi carta bianca. Si spiegano così gli apparenti ripensamenti di Nicola Zingaretti che, seguendo l’indirizzo di Romano Prodi, è tornato a occhieggiare al maggioritario. “Le etichette servono a poco”, spiega Delrio. “Un proporzionale con sbarramento al 5 per cento sarebbe, di fatto, più maggioritario di quello che abbiamo oggi”. Ed è una soluzione, questa, che piacerebbe anche ai renziani. Andrea Marcucci, rimasto a guidare il Pd al Senato, siede su un divanetto del Salone Garibaldi insieme all’amico Francesco Bonifazi, transitato invece in Italia viva: insieme parlano delle rogne burocratiche da sbrigare, il passaggio di personale e strutture, a seguito della separazione. Poi, quando gli si chiede se i renziani opporranno resistenze al rinvio della discussione sulla legge elettorale, Marcucci scuote la testa: “Sono loro quelli che più di tutti hanno bisogno di tempo”. E infatti, di lì a poco, arriverà, risolutiva, la sentenza di Ettore Rosato: “Noi di Italia viva non poniamo problemi”. Dopo tutto, l’eventuale nascita di quel monstrum che sarebbe il centrosinistra filogrillino, servirebbe anche a Renzi per giustificare, ex post, la rottura.