Beppe Fioroni (Foto LaPresse)

“Non me ne vado, ma il Pd torni allo spirito del Lingotto”. Parla Fioroni

Marianna Rizzini

Beppe Fioroni, di fronte alla scissione di Matteo Renzi, spera che il partito recuperi “i tanti silenti abbandoni”

Roma. E’ stato tra i fondatori del Pd (e prima del Ppi e della Margherita), ministro nel governo Prodi II e deputato per più di vent’anni. E oggi Beppe Fioroni, di fronte alla mossa scissionistica di Matteo Renzi, dice: “O il Pd torna a essere il Pd del 2007, quello che aveva investito sulla possibilità di costruire un soggetto di centrosinistra innovativo e inclusivo che facesse tesoro della cultura cattolico-popolare e cattolico-liberale, e scommette davvero sul suo futuro, oppure si prenda atto che se diventa una ‘cosa di sinistra’ si è persa di vista la battaglia originaria”. Non è d’accordo con Goffredo Bettini, Giuseppe Fioroni, e cioè con il Bettini che qualche giorno fa, sul Corriere della Sera, ha disegnato i contorni di una nuova realtà in cui Pd e M5s possano “mischiare i loro elettorati” (per non dire dell’idea di “separazione consensuale” che, dice Fioroni, “presuppone che il progetto del Pd sia già morto e sepolto”. Né è d’accordo, l’ex ministro, con l’impostazione del sindaco di Milano Beppe Sala: “Non si può banalizzare, non si può dire c’è chi entra e c’è chi esce. Dodici anni fa abbiamo investito su un connubio tra due culture, e se oggi qualcuno entra o esce dal partito il prodotto finale rischia di non essere lo stesso. E io non mi rassegno a pensare che quel progetto del 2007 sia già morto. Credo ci sia ancora la possibilità di far risorgere un partito plurale che possa farsi vera alternativa all’antipolitica e al sovranismo”.

 

Non da oggi Fioroni la pensa così, tanto che gli è tornato alla mente il giorno di fine febbraio 2014 in cui – unico dissidente – durante un’animata direzione del Pd ha votato contro la decisione di far entrare il Pd nel Pse: “Significava per me collocare il Pd in Europa al museo delle cere”. Ci fu allora del sarcasmo di fronte al suo No. “Sono pronto a un seminario con Fioroni per spiegargli l’influenza del cristianesimo sociale nel socialismo europeo”, aveva detto allora Massimo D’Alema”; “comprerò i popcorn per assistere all’epico scontro D’Alema-Fioroni”, aveva risposto Renzi. E oggi, con l’ex premier rottamatore pronto alla formazione dei nuovi gruppi parlamentari, sembra a Fioroni “che si sia purtroppo già in una fase fratelli-coltelli, con sfogo di aggressività reciproca che nuoce sia al Pd sia a Renzi. Non è quello che voglio io e non è quello che vogliono i tanti moderati e cattolici democratici e popolari che si sono ritirati o messi per così dire in pausa di riflessione dal dibattito negli ultimi anni – chi dopo che Pier Luigi Bersani ha scelto di allearsi con Sel, chi nel periodo renziano, chi in quest’ultimo scorcio zingarettiano. E però oggi Zingaretti ha davanti una grande sfida: deve dimostrare di essere all’altezza del compito di ricostruire un partito in cui, come nel 2007, anche i moderati e i riformisti si possano sentire a casa – non certo ospiti sgraditi e paganti. Serve una grande operazione di recupero dei tanti silenti abbandoni.

 

Se invece si dà corpo e sostanza alla sensazione superficiale di revanche antirenzista, e si segue poi lo schema della separazione consensuale, beh, il Pd è finito e la scissione diventa un serio problema. Il Pd ha bisogno del cattolicesimo liberale. Che cosa vuole fare ora Zingaretti: è in grado di ridare pluralità? Di riportare a galla lo spirito del Lingotto?” . Quanto a Renzi, Fioroni trova che la sua operazione, al momento, pur senza meritare “anatemi” perché “è una scelta politica”, “abbia bisogno di più afflato e passione, per non essere considerata soltanto una cosa di Palazzo. Vediamo alla prova dei fatti attorno a quale pensiero si strutturerà”. Quindi non andrebbe con Renzi, Fioroni? “Prima di dire ‘me ne vado’ da un partito in cui ho investito dodici anni della mia vita ci penso, e voglio vedere se è in grado di rigenerarsi. E dunque non vado via, ma dico che Zingaretti è arrivato al punto: o rilancia l’idea del Pd delle origini oppure dica chiaramente che la ritiene superata. Intanto bisogna recuperare la presenza sul territorio: 140 caratteri di Twitter non possono rendere vana l’interlocuzione con persone in carne e ossa. E questo riguarda sia il Pd sia Matteo Renzi”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.