Luigi Di Maio (foto LaPresse)

La non opposizione a Salvini dei dissidenti grillini, che però guardano al Pd

Valerio Valentini

Al momento del voto del decreto sicurezza, la tanto annunciata rivolta del M5s contro la Lega si risolverà in una silenziosa uscita dall’Aula

Roma. Ora, addirittura, si stupiscono dello stupore altrui. “Ma veramente pensavate che qualcuno di noi potesse votare un provvedimento su cui il governo pone la fiducia, col rischio di mandare sotto la maggioranza?”. Elisa Pirro, senatrice valsusina del M5s, che pure è stata tra coloro che più di tutti hanno vissuto sulla propria pelle l’abiura della Tav, dopo giorni di baruffe interne al gruppo, fa adesso mostra di pragmatismo politico: “Era abbastanza scontato che la strategia sarebbe stata quella dell’astensione”. E infatti è così che andrà, la settimana prossima, quando l’assemblea del Senato si voterà il decreto “sicurezza bis”: la tanto annunciata rivolta, la paventata rappresaglia degli ortodossi pronti a fare pesare sul provvedimento tanto caro a Matteo Salvini il loro malessere per il via libera all’alta velocità e all’appiattimento del M5s sulla Lega, si risolverà in una silenziosa uscita dall’Aula. Atto del tutto formale, che non mette in alcun modo a repentaglio il via libera al decreto: basterà infatti la semplice maggioranza dei presenti.

 

 

Lo conferma anche Matteo Mantero, grillino ligure che fu tra i primi a prendere le distanze dall’intesa col Carroccio. “Sì, credo che ci limiteremo a non partecipare al voto, a non entrare in Aula”, dice, esponendo le ragioni di questa protesta a metà. “Se votassimo contro la fiducia, dimostreremmo di non credere più in questo governo. Ma invece, a molti di noi, parecchi provvedimenti – dalla giustizia all’ambiente – piacciono eccome. Noi, più semplicemente, siamo contrari, da un punto di vista etico, a questo decreto. Per questo – conclude Mantero – stiamo valutando la possibilità di apportare correzioni, sia sul tema del soccorso in mare sia sulle restrizioni alla libertà di manifestazione, da inserire magari in un maxi-emendamento”.

 

 

Ipotesi, questa, su cui ieri, in mattinata, qualcuno tra i grillini aveva sperato, prima che arrivasse all’unisono la voce dei capigruppo di Lega e M5s, Massimiliano Romeo e Stefano Patuanelli, a ribadire che no, non c’era né il tempo né la volontà politica di modificare il testo del decreto per poi rimandarlo blindato alla Camera, a ridosso della scadenza fissata al 13 di agosto. “Mi sembra un’ipotesi alquanto improbabile”, sentenzia il leghista Stefano Borghesi, presidente della commissione Affari costituzionali che ieri ha liquidato a tempo di record il testo. “Tutto è filato liscio, le opposizioni hanno avuto un atteggiamento molto civile nell’illustrazione dei 1240 emendamenti”. Che verranno comunque cassati, sancendo il fallimento della strategia che il M5s aveva tentato di allestire, in tutta fretta, negli scorsi giorni.

 

L’idea, infatti, era quella di porre alla Lega una sorta di ricatto sul decreto “sicurezza bis” attraverso la mozione della Tav. “Se il Pd e Forza Italia decideranno di astenersi e fare emergere le contraddizioni in seno alla maggioranza – avevano ragionato i senatori grillini, durante la loro riunione martedì sera – a quel punto si aprirà la trattativa, e potremo convincere il Carroccio a emendare il decreto sicurezza”. E pure ammesso che potesse avere una qualche consistenza, questa strategia è comunque naufragata l’indomani mattina, quando il capogruppo del Pd Andrea Marcucci ha risolutamente negato qualsiasi forma di astensione: “Noi restiamo coerenti – ha detto ai suoi – votando No alla mozione del M5s e Sì alla nostra in favore della Torino-Lione”. Questo mentre Romeo faceva sapere ai grillini che margini di trattativa non ce n’erano: “Se modifichiamo il dl sicurezza, si va tutti a casa. E se passasse la mozione contro la Tav, si andrebbe lo stesso tutti a casa”.

 

E’ stato a quel punto che la dissidenza grillina è stata indotta a più miti consigli. Riprogrammando semmai i propri obiettivi sul lungo periodo. Lo si è capito quando, ieri mattina, Nicola Morra ha incredibilmente elogiato via Facebook Nicola Zingaretti. “Il segretario del Pd anche ieri ha fatto qualcosa di straordinario rispetto a quanto avrebbe fatto lui stesso soltanto l’anno scorso. Ha sospeso i dirigenti e tesserati del Pd calabrese coinvolti nell'inchiesta di Reggio Calabria”, ha scritto, in riferimento all’operazione contro la ‘ndrangheta di due giorni fa, il presidente grillino della commissione Antimafia, che da mesi lavora, in modo più o modo silenzioso e col supporto di Alessandro Di Battista, per sottrarre la guida del M5s a Luigi Di Maio e preparare il campo a una eventuale alleanza col Pd. Un’alleanza che in primo luogo trovi il suo fondamento, comme il faut, su legalità e giustizialismo, come ha dimostrato anche il voto congiunto tra grillini e democratici nella giunta per le Autorizzazioni alla Camera: entrambi in favore dell’arresto di Diego Sozzani, forzista indagato per finanziamento illecito dal Tribunale di Milano. 

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