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Senato, sballo d'agosto

Valerio Valentini

Ecco tutte le faide grilline che mettono a rischio il “sicurezza bis”. Ma si confida nel soccorso delle opposizioni

Roma. Che sia davvero questa, la pietra d’inciampo mille volte evocata e sempre però puntualmente scansata, è difficile da credere. Si tratta, semmai, più di un auspicio, che di una certezza, coltivato da quella parte della Lega più recalcitrante alla prosecuzione dell’agonia gialloverde. E allora ecco che “sul decreto sicurezza bis, settimana prossima, salta tutto”, continua a riferire chi, nelle scorse ore, ha raccolto i pensieri di Giancarlo Giorgetti. La tensione si è in effetti alzata ieri pomeriggio, quando le speranze grilline su un soccorso rosso si sono frantumate contro il muro del migliaio di emendamenti che il Pd ha depositato finora sul testo, che arriverà in Aula, al Senato, lunedì o martedì. Un segnale di fronte al quale lo stesso Massimiliano Romeo, capogruppo del Carroccio, ha sentenziato con alcuni suoi senatori che “sì, a questo punto la fiducia è scontata”.

   

Il che complica, e non poco, il lavoro del suo omologo grillino, Stefano Patuanelli, alle prese con l’ennesima crisi di nervi interna al gruppo che stasera, in un’assemblea che si preannuncia vivace, produrrà la solita litania di malumori. C’è ovviamente il gruppo dei dissidenti ormai organici: Virginia La Mura, Elena Fattori, Matteo Mantero. Ma stavolta il problema, in realtà, sta semmai nel possibile regolamento dei conti interno al gruppo grillino: sfruttare il passaggio sul decreto sicurezza per fare coagulare i mille rivoli di malumore alimentati nei mesi da abiure continue. A partire, ovviamente, dall’ultima: la Tav.

 

“Nessuna ripicca, suvvia”, smentisce Elisa Pirro, valsusina, che però, quando si sente chiedere se la protesta per la Torino-Lione è terminata, risponde minacciosa: “Non è ancora iniziata, e questa trovata inutile del voto parlamentare non servirà a placarla”. E dunque la vendetta andrà servita sul decreto sicurezza bis? “Non ragioniamo così. Stiamo valutando – dice, sibillina, riferendosi anche ad altri colleghi: e in primis ai torinesi Airola e Matrisciano – atti non necessariamente eseguibili in Aula”. C’è poi chi, come Michele Giarrusso e Luigi Di Marzio, potrebbe volere fare pesare la propria contrarietà all’articolo 14 del decreto crescita, che favoriva i fondi sanitari integrativi. “Il decreto sicurezza? Lo sto ancora studiando”, temporeggia Mattia Crucioli, pure lui nel listino dei possibili dissidenti.

 

Chi dice di averlo “letto e analizzato a fondo”, invece, è Gianni Marilotti, senatore cagliaritano che per dieci anni ha lavorato nel campo della cooperazione internazionale in sostegno del nord Africa, e che forse anche per questo trattiene a stento la sua insofferenza: “Quello delle migrazioni non è un tema che si risolve con misure di polizia”, afferma. “Già in occasione del primo decreto sicurezza avevo presentato un emendamento, poi liquidato come un ordine del giorno. Stavolta speriamo in una discussione reale, e non in una nuova questione di fiducia”. Sarà questa una delle rimostranze più condivise, nella riunione di stasera. E forse è come avendone percezione che lo stesso Patuanelli ha valutato fino all’ultimo la possibilità di evitare la tagliola parlamentare, prima di arrendersi alla realtà dei fatti (“Noi regali al M5s non ne facciamo”, ha diramato l’ordine, ieri, il capogruppo del Pd Marcucci).

 

Nel quartier generale del M5s danno per scontato che almeno cinque o sei voteranno contro. Il tutto rientra un po’ in quella logica ormai considerata ordinaria dallo stesso Di Maio, che ieri, in una riunione con gli attivisti a Cosenza, s’è detto rassegnato a prendersi “i vaffa di chi dice che faccio gli accordi con Salvini”, pur ribadendo che per lui il governo deve andare avanti. E però un conto è gestire una diserzione, un altro è subire una rivolta interna: e dunque si lavorerà di diplomazia, per ridimensionare il malcontento, anche in virtù del fatto che, a norma di regolamento, chi non vota la fiducia al governo andrebbe espulso. E a quel punto, si rischierebbe davvero di far saltare la maggioranza a Palazzo Madama.

  

Non pare che succederà, però. Specie perché, al netto delle bellicose dichiarazioni d’intenti, un aiuto dalle opposizioni arriverà ugualmente, seppure meno spudorato. “Basterà che un bel numero di senatori nostri, e magari anche qualcuno del Pd, non si presenti in Aula per il voto”, spiega un esponente di Forza Italia. E a quel punto, col quorum ridotto, anche le defezioni del M5s diventeranno irrilevanti. Certo, ci sarebbe comunque un caso politico: ma che per simili tecnicismi parlamentari Salvini possa decidersi a fare saltare quel banco che non ha voluto ribaltare neppure per questioni di assai più immediata presa mediatica, sono rimasti davvero in pochi, a crederci.

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