Sergio Mattarella e Matteo Salvini (foto LaPresse)

Tra alibi e sospetti. Perché Salvini non si fida del “sì” di Mattarella alle elezioni

Salvatore Merlo

 La vecchia guardia padana sogna il voto, il ministro tergiversa e indica l’ostacolo: il metodo Zampetti e l’incubo tecnico

Roma. Che il governo sia finito per autoconsunzione, adesso lo dicono anche i leghisti. Ma che ci sia una crisi, come sarebbe logico e normale, consequenziale persino, ebbene questo non lo dice nessuno. E s’intuisce così quanto, fino a che punto, quelli attuali siano tempi spiazzanti. Lo stesso Matteo Salvini, strapotente e popolare, è a sua volta il più spiazzato e intrappolato di tutti. Il 56 per cento degli elettori della Lega, ha scritto ieri il Sole 24 Ore, vuole le elezioni. Anche Giancarlo Giorgetti invita il suo amico e capo a farla finita, e con lui ci sono i presidenti leghisti delle regioni del nord. Persino gli industriali, ormai terrorizzati dal governo della decrescita.

 

Ma Salvini ha mille preoccupazioni, tentenna, avvolto da timori noti e ignoti che alimentano sussurri e retropensieri persino tra le persone che gli sono più vicine: è davvero possibile che il problema sia il Quirinale? I meno inclini alle contorsioni complottiste dicono di sì. E allora descrivono, nei termini di una foresta intricata, quel triangolo di relazioni tra Salvini, Sergio Mattarella e Ugo Zampetti, cioè l’autorevole (e potente) segretario generale del Quirinale. Quest’ultimo, assieme ad alcuni altri funzionari della presidenza della Repubblica, tutti vicini alla sinistra democratica, è non da oggi considerato da Salvini alla stregua di un avversario politico. Il segretario della Lega – che con Mattarella, dopo l’iniziale ostilità e la tensione per i casi Savona e Foa, ha lentamente costruito un discreto rapporto attraverso Giorgetti – a quanto si dice pretenderebbe dal Quirinale la garanzia che, in seguito alla eventuale crisi, non si formi un nuovo governo, neanche di poche settimane o giorni. Teme nuove acrobatiche ma contundenti maggioranze. E insomma, Salvini pretenderebbe la promessa notarile, quasi su carta bollata, che sia l’attuale esecutivo, in caso, a portare l’Italia al voto.

 

Mattarella lo avrebbe rassicurato, all’incirca così: “Nessuna forzatura”. Troppo generico, però. Salvini dice di non potersi fidare. E infatti l’uomo spavaldo che twitta senza freni e senza dubbi, si fa piccolo, cauto e incerto di fronte a un’ombra: teme l’influenza di Zampetti, amico di Luigi Di Maio, Dario Franceschini e Graziano Delrio. Teme quel mondo, sospeso tra l’alta burocrazia di stato e il Parlamento, che già un anno fa, dopo le elezioni del 4 marzo, aveva lavorato per un governo senza la Lega. O almeno così dicono nel partito ex nordista, dove ovviamente circolano anche altre leggende, suggestive e contorte, intorno alla sindrome da accerchiamento che avrebbe ormai sconvolto persino la tranquillità psicologica di Salvini: l’affaire Savoini, le procure in marcia, quel potere diffuso ed evanescente che trova il suo baricentro nei gangli più profondi dello stato, negli ambienti internazionali e comunitari, con il complemento della sinistra e ovviamente dei giudici. Fantasie? Manie complottiste? Vittimismo spinto? Qualcuno ci crede. E questo basta.

 

Così nemmeno le rassicurazioni di Mattarella sono bastate a dissipare l’incubo ricorrente: crisi di governo, e nuovo governo presieduto da Giuseppe Conte, Giovanni Tria, Mario Draghi, Paperino o Belzebù (tutto è possibile quando si è nel panico). E infatti nella Lega, gli amici di Salvini, sia quelli che lo assecondano sia quelli che un po’ non lo capiscono fino in fondo, da giorni riperticano le parole allusive di Giuseppe Conte, pronunciate poche settimane fa in Parlamento, quando il presidente del Consiglio – “vuoi che non avesse parlato con ‘qualcuno’ che lavora al Quirinale?” – aveva detto che “se cade il governo, torno a chiedere la fiducia”. E dunque, ancora, più che Mattarella, i leghisti disegnano nell’aria l’ombra minacciosa degli amici e dei consiglieri di Mattarella. L’ombra di Zampetti, l’uomo che del Quirinale è il ponte, le orecchie e persino la voce non necessariamente ventriloqua. Zampetti che è il centro geometrico tra il Pd e il M5s. Ma questa è solo una versione della storia. I leghisti più anziani, e di esperienza, non ci credono. Sono persino più contorti dei fedelissimi salviniani: c’è dell’altro, dicono. Ci deve essere dell’altro. 

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.