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Perché Di Maio non conosce lo stato di diritto

Paolo Cirino Pomicino

La norma contro ArcelorMittal e al caso Autostrade, a ogni problema esorcizza le sofferenze altrui non cercando soluzioni ma minacciando un qualunque capro espiatorio

Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Nel caso in esame non c’è neanche la dignità del lupo ma solo il vizio. Ci riferiamo a Luigi Di Maio, che appare sempre più una sorta di guappo paesano dedito all’intimidazione parlando “in pulito” (licenza napoletana) ma con congiuntivi che ballano di continuo. Questo signorino (termine antico e nobiliare oltre a significati più moderni) dinanzi a ogni problema esorcizza le sofferenze altrui non cercando soluzioni ma minacciando un qualunque capro espiatorio. Non finiremo mai di ricordare la minaccia dell’impeachment di Sergio Mattarella chiesto al popolo e non al Parlamento (arroganza e ignoranza camminano insieme sempre) e poi le altre minacce a chiunque ritardasse di fornire soluzioni da lui desiderate come ad esempio quelle al ministro Tria ritenuto una sorta di amanuense. Gli esempi sono tanti e man mano che passano i giorni l’abitudine a minacciare diventa sempre più frequente. Gli ultimi due casi sono una drammatica testimonianza della pericolosità di chi non conosce lo stato di diritto e i fondamentali della politica, una miscela davvero pericolosissima.

 

Ma veniamo al dunque. L’emendamento da lui inserito nel decreto cosiddetto “crescita” ha tolto l’immunità penale al management di ArcelorMittal, acquirente dell’Ilva di Taranto. Quella immunità penale transitoria fu un modo per coniugare due diritti che non potevano trovare soluzione congiunta e immediata, e cioè il diritto alla salute e il diritto al lavoro. Il risanamento dello stabilimento chiedeva tempo e la procura perseguiva giustamente i reati ambientali rischiando però di destabilizzare il tutto perdendo a un tempo entrambi quei due diritti citati nel nome della legge. Un caso classico del “summum ius, summa iniuria”. Fu questa, dunque, la ratio di una immunità penale transitoria e cioè per il tempo utile a risanare lo stabilimento e a mettere in sicurezza l’ambiente offeso per molti anni. Quella immunità fu data ai commissari per anni ma non furono dati loro i poteri e le risorse per avviare significativamente il risanamento ambientale dello stabilimento. Il nostro illustre ministro dello Sviluppo economico ha chiosato la sua stupida iniziativa dicendo che l’immunità non era scritta nel contratto. Ma Di Maio veramente crede che una norma ai limiti della costituzionalità possa essere scritta in un contratto obbligando poi il parlamento a legiferare in tal senso? Quella immunità, peraltro, era già presente nel contesto ambientale e produttivo di Taranto ed era oggettivamente un elemento che poteva favorire o evitare un acquisto e un investimento. Un governo serio non cambia il contesto locale dopo aver venduto l’azienda e senza annunziarlo prima minacciando poi in ogni modo i nuovi acquirenti se pensano di lasciare l’Italia chiudendo lo stabilimento. Questo atteggiamento è tipico del “guappo di cartone” personaggio molto noto nella cultura della mia e della sua terra. Un governo serio avrebbe monitorato gli impegni assunti dal nuovo padrone dell’Ilva e si sarebbe comportato di conseguenza.

 

Il secondo episodio è la minaccia alla famiglia Benetton, definita una famiglia decotta insieme alle sue aziende. Qui la minaccia del guappo di cartone ha una sua ragion d’essere perché è il modo per far dimenticare che quando molti, tra cui la società Autostrade, volevano la gronda, un asse a scorrimento veloce nella città di Genova che avrebbe ridotto il peso del traffico sul ponte Morandi (si pensava addirittura di demolirlo per farne un altro a quattro corsie), il guru di Di Maio, il comico Grillo Giuseppe, contrastò quella scelta affermando tra l’altro che il ponte non sarebbe mai caduto. La teoria del no a tutto anche a Genova ha prodotto disastri. Per quanto riguarda i Benetton, essi hanno portato nel mondo con successo il nome del Made in Italy prima con l’abbigliamento poi con la ristorazione di Autogrill e con l’accoppiata della costruzione e gestione di assi autostradali. Oltre dieci anni fa la spagnola Abertis stava comprando la società Autostrade per l’Italia, oggi è la società di Benetton che ha comprato Abertis diventando uno dei player mondiali sia in questo settore che nella gestione degli aeroporti, come dimostra l’ultimo riconoscimento internazionale per il secondo anno consecutivo dell’aeroporto di Fiumicino. Questi sono fatti, il resto è guapparia.