Virginia Raggi (foto LaPresse)

Il caso Stefàno e gli innumerevoli addii attorno a Raggi

Marianna Rizzini

Fuga dall’aula del Campidoglio, si fa prima a dire chi non si è dimesso

Roma. “A mente fredda spiegherò i motivi”. Ed ecco che, nella Roma alle prese con l’arrivo del presidente russo Vladimir Putin e con l’emergenza monnezza (magicamente sparita da alcuni punti della città, forse per via dell’arrivo del presidente russo medesimo), spunta un nuovo caso-dimissioni presso il Campidoglio. Trattasi di Enrico Stefàno, fino a ieri presidente vicario dell’Aula capitolina (era subentrato a Marcello De Vito, arrestato con l’accusa di corruzione). Già consigliere a Cinque stelle, il dimissionario ha confermato l’appoggio “incondizionato” al sindaco Virginia Raggi, e però restano misteriose le cause del gesto (“continuerò a lavorare per Roma dando il massimo per vedere realizzata la nostra idea di città”, ha detto).

 

A mente fredda sapremo, fatto sta che ormai la parola “dimissioni” è di casa nei pressi della giunta Raggi. Nove assessori, infatti, per tre anni di governo, più una decina di nomi in posti nevralgici collegati con il Comune: non soltanto un record, ma anche un grande punto interrogativo: come fa l’entusiasmo iniziale con cui si insediano le personalità che collaborano con i Cinque stelle a svanire in un battibaleno? Ai posteri la sentenza.

 

Intanto la sequela, a guardarla a ritroso, è impressionante, al netto delle inchieste giudiziarie e delle parallele dimissioni multiple ai vertici delle municipalizzate e al netto dell’autosospensione del vicesindaco e assessore allo Sport, Daniele Frongia (all’esplodere dell’inchiesta per corruzione). E’ cominciato tutto nel nerissimo 1° settembre 2016, quando si dimette Marcello Minenna, assessore al Bilancio, già dirigente Consob e docente alla Bocconi, seguito a ruota, nel giro di qualche ora, dai vertici Atac (l’allora direttore generale, Marco Rettighieri, e l’allora amministratore unico, Armando Brandolese), e dell’Ama (l’allora amministratore unico Alessandro Solidoro). A monte c’è la revoca da parte di Raggi del capo di Gabinetto di Roma Capitale, Carla Raineri, in seguito a un parere dell’Anac. Raggi annuncia il tutto con un post su Facebook: “Trasparenza. E’ uno dei valori che ci contraddistingue e che perseguiamo. Per questo motivo abbiamo deciso di chiedere un parere all’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione, su tutte le nomine fatte finora dalla Giunta. Una richiesta per garantire il massimo della trasparenza: il ‘palazzo’ deve essere di vetro, tutti i cittadini devono poter vedere che cosa accade dentro”.

 

E siccome Raineri era stata indicata da Minenna, le cose sembrano spiegarsi le une con le altre. Ma non tutte le dimissioni sono uguali. Raffaele De Dominicis, ex procuratore presso la Corte dei Conti del Lazio, diventa assessore al Bilancio, ma per un giorno. Perché anche la sua nomina è revocata. Motivo: un’inchiesta archiviata a suo carico (restano agli atti le sue parole, a dir poco profetiche: “Questo è un asilo infantile, la politica non fa per i grillini”). Poi è la volta di Andrea Mazzillo, fedelissimo a Cinque stelle che nell’agosto del 2017 rimette la delega al Patrimonio (per poi essere accompagnato alla porta dal sindaco). Ma è sul piano dei rifiuti che i cambi si susseguono più vorticosi di un sacchetto della spazzatura che rotola giù dal cassonetto stracolmo (come in questi giorni): ecco l’assessore all’Ambiente Paola Muraro, che si dimette dopo avere ricevuto un avviso di garanzia (per il periodo in cui era consulente di Ama). Balzo in avanti: nel febbraio del 2019 si dimette il successivo assessore all’Ambiente Pinuccia Montanari, criticando la scelta del sindaco di bocciare il bilancio di Ama (decisione “incomprensibile”, dice). E se non sono i rifiuti, sono i quartieri sofferenti. Si dimette infatti anche Paolo Berdini dalla carica di assessore all’Urbanistica, al grido di “le periferie degradano, ma Raggi pensa a costruire il nuovo stadio della Roma”. E Adriano Meloni, assessore allo Sviluppo economico. E che dire di Massimo Colomban, assessore alle Partecipate, amico di Gianroberto Casaleggio, sceso dal nord, che se ne va dicendo che la sua era una “missione a tempo”, e dell’altro assessore alle Partecipate, Alessandro Gennaro, che saluta per “motivi strettamente personali”? Sarà finito il valzer degli addii? Chissà, intanto il sindaco guarda e passa, e rilancia il botta e risposta con la Regione sul sempiterno problema della monnezza.

Di più su questi argomenti:
  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.