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Parrini ci spiega perché fuori dal Pd non c'è salvezza per i lib-dem

David Allegranti

Il senatore toscano: “L’idea che il Pd possa esternalizzare la rappresentanza del centro e dei moderati è un autoinganno”

Roma. “L’idea della divisione del lavoro tra ‘lib’ e ‘lab’ decisa a tavolino sarebbe un’operazione verticistica e politicista senza sbocchi”, dice al Foglio il senatore del Pd Dario Parrini, che sta coordinando la redazione del manifesto di Base Riformista, la corrente di Lorenzo Guerini e Luca Lotti, in vista della prima convention nazionale di Montecatini di luglio.

 

Parrini, già segretario del Pd toscano, non è convinto della possibile scissione consensuale che porterebbe alla nascita di un partito liberal-democratico alleato del Pd. “Per una ragione molto semplice. Il Pd o resta lib-lab o non è più il Pd. Siamo nati per essere riferimento credibile, tanto di chi soffre quanto degli imprenditori che innovano e creano occupazione. Deporre quest’ambizione significherebbe snaturarsi”, aggiunge Parrini: “L’idea che il Pd possa esternalizzare la rappresentanza del centro e dei moderati perché abbiamo una legge proporzionale è un autoinganno. Salvini dimostra che si può giocare con spirito maggioritario anche dentro un sistema proporzionale. E non solo si può, si deve”.

 

Insomma i Democratici devono recuperare la vocazione maggioritaria: “Il Pd deve avere un obiettivo chiaro: tornare il primo partito italiano. Raggiunge questo obiettivo solo se resta la casa di tutti i riformismi di stampo progressista. Il modello-Unione fallì nel 2006-08. Non darebbe risultati migliori oggi”. Dunque, “lo schema ‘creo degli alleati facendo nascere dall’alto nuovi partiti’ ricorda la logica di quelle liste civiche che nelle elezioni comunali invece di portare valore aggiunto al candidato sindaco svuotano solo il suo partito di provenienza senza aumentare il totale dei consensi al sindaco. Sono cioè operazioni che sul piano del consenso sono redistributive, non accrescitive. Funzionano solo quei partiti che emergono da conflitti e esigenze reali”. Gli “spin off”, così li chiama Parrini, “non funzionano”. Citofonare Calenda: “Io sono convinto che sia una delle figure del Pd maggiormente attrattive e che debba rimanere tale. E’ combattendo la battaglia libdem e riformista nel Pd che insieme ad altri, penso ai sindaci delle grandi città a partire da Dario Nardella, potrà dare un grande contributo all’ampliamento della capacità di rappresentanza del centrosinistra”.

 

La casa dei lib-dem è quindi il Pd, che deve però ripartire da alcune questioni programmatiche: “Serve un Pd con il coraggio di dire che la priorità non è sussidiare il non lavoro bensì finanziare l’occupazione e quindi tagliare le tasse sul lavoro per aumentare lo stipendio dei lavoratori. E che i soldi per far questo li troviamo solo se diciamo a chiare lettere che quota 100 e reddito di cittadinanza sono due ingiustizie sociali da cancellare”. Serve anche un Pd, dice Parrini, “che di fronte a 469 comuni su 526 costretti ad aumentare l’addizionale Irpef fa le barricate perché le tasse devono scendere. Un Pd che non considera archeologia la spending review e la riforma della PA per arrivare a uno Stato veloce e giusto e per avere i soldi per aiutare le imprese che investono senza scassare i conti pubblici”. E infine un Pd che “sul piano dei valori dice chiaramente che gli sconquassi identitari culturali e economici prodotti dall’aumento di disuguaglianze e insicurezza sono un male primario. Combattere disuguaglianza e insicurezza è obiettivo essenziale. Ma sbaglia chi pensa di poterlo fare rilanciando le mistiche dirigiste, tassiste e stataliste”. Il riferimento è, qui, ai Cinque stelle ma anche a chi nel Pd è alla ricerca di strane interlocuzioni con i grillini. Tutte queste idee finiranno nel manifesto al quale sta lavorando Parrini insieme ad altri: “Il Pd che abbiamo in mente considera il liberalismo sociale intriso di sussidiarietà, di ecologismo propositivo e di continua espansione delle opportunità una virtù e un orizzonte ideale ricco di potenzialità; e il liberismo indiscriminato una malattia”.

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  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.