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Il futuro del Pd

David Allegranti

Marcucci dice a Calenda e agli altri che il partito lib-dem c’è già: è il Partito democratico

Roma. “L’operazione di allargamento fatta da Zingaretti alle Europee, per ciò che era possibile fare, è stata interessante e io sono tra quei dirigenti di partito legati alla nascita del Pd come progetto che metteva insieme i migliori riformismi di questo paese, in una logica di vocazione maggioritaria. Penso che di tutto questo ci sia bisogno ancora oggi”. Andrea Marcucci, capogruppo del Pd al Senato, non è convinto che la via lib-dem fuori dai Democratici sia la strada giusta. In fondo, sottolinea, quel lavoro di confronto con il mondo del riformismo liberal-democratico lo può e lo deve fare già il Pd, “a partire dalle forze produttive di questo paese”. Insomma, a Carlo Calenda dice che è meglio restare nel Pd? “Non lo dico solo a Calenda, ma a tutto il Pd, nella consapevolezza che la nostra missione è anche questa: l’allargamento del campo del centrosinistra. Vede, Calenda era candidato alle Europee con il Pd, il suo successo, così importante, ha testimoniato plasticamente quello che sto dicendo: nel Pd c’è un’area importante che fa riferimento al mondo liberal-democratico, così come ci sono personaggi e parlamentari autorevoli che sono in grado di parlare a quel mondo. Del resto sono tali i disastri che la maggioranza Lega-M5s sta facendo al paese che il Pd può trovare un certo riscontro tra le migliori energie dell’Italia”. Insomma, dice Marcucci, il Pd ha la possibilità di espandersi, purché prenda atto che, “grazie all’elezione di Zingaretti, a sinistra si è già recuperato il recuperabile. Quel percorso è compiuto”.

      

Non è un po’ poco però, senatore? “Certamente non è sufficiente. Per questo dobbiamo allargare il campo d’azione. Serve un grande sforzo collettivo delle forze riformiste che hanno a cuore l’Italia. Non è impossibile, ci sono forze che sono partite dal 4 percento e hanno aumentato di otto volte i loro voti. Le condizioni per recuperare ci sono, se si mantengono certe caratteristiche”. Quali? “Anzitutto non dobbiamo parlare solo, come è stato giusto peraltro fare, al mondo della sinistra ma anche al mondo riformista, moderato, sensibile a certe istanze sociali, che crede nella modernità, nello sviluppo e nella centralità del lavoro. Tutto l’opposto della politica dirigista, assistenzialista e molto pericolosa che sta portando avanti questo governo”. Non da ora, peraltro, dice Marcucci. “Già un mese e mezzo fa il mio giudizio su questo esecutivo era drammaticamente negativo; ha interrotto la crescita, aumentato la disoccupazione, fatto esplodere il debito pubblico, aumentato lo spread. Il costo del nostro debito pubblico è superiore a quello della Grecia. Questo era evidente a tutti già prima della campagna elettorale; speriamo che il paese prima o poi se ne renda conto, e a un certo punto dia un giudizio. Poi c’è stata la campagna elettorale ed è tutto peggiorato. E se quella che vediamo non è l’Italia che vogliamo allora serve un colpo d’ala”.

      

E’ giusto essere gli interlocutori del mondo sindacale, “ma dobbiamo esserlo anche di quello produttivo. Quel che dico non è in antitesi alle scelte fatte dalla nuova segreteria, che ha fatto alcuni ragionamenti interessanti e però deve essere conseguente. Come capogruppo ho incontrato le associazioni sindacali in campagna elettorale e penso che il confronto vada fatto con tutti gli altri corpi intermedi. Noi a differenza di Lega e Cinque stelle abbiamo a cuore il futuro dell’Italia. Loro invece lavorano per un tornaconto personale; la Lega c’è riuscita, il M5s no. Entrambi però sono accomunati da un accanimento nei confronti dell’Italia”. Senta Marcucci, ma il Pd vuole davvero tornare alle elezioni? Forse non gli converrebbe. “L’elettorato si è dimostrato molto fluido. Non cambia dopo anni ma addirittura dopo pochi secondi, come dimostrano le ultime elezioni, dove alle Europee ha vinto la Lega ma alle amministrative gli elettori hanno votato in maniera diversa. Quindi non ci deve spaventare il ritorno alle urne. Nel frattempo, se la cosa non dovesse accadere in tempi rapidi, dobbiamo rafforzare l’approccio riformista del nostro progetto. Del resto, considero gli ultimi due mesi una grande pièce teatrale inventata da Lega e M5s che fanno finta di litigare. La verità e che non sono capaci. C’era attesa rispetto a due provvedimenti, quello per la crescita e lo sblocca-cantieri, ma i fatti ci dicono che i partiti della maggioranza sono incapaci di gestire questa fase”. Potrebbe nascere una maggioranza diversa dentro questo Parlamento? “Oggettivamente non la vedo. Mi pare difficile che il Pd collabori con qualcuna delle forze che oggi sono in maggioranza. Entrambe sono molto lontane dal nostro modo di intendere la politica, soprattutto in termini di valori. Si sono dimenticati del lavoro e delle imprese puntando su assistenzialismo e bloccando il paese”.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.