Elogio di quelli che l'hanno capita
Il liberalismo è in crisi ma Tsipras e Landini hanno capito che è insostituibile e che oltre il liberalismo c’è solo l’illiberalismo, una democrazia trombona, nazionalista un po’ fascia e senza diritti. Dio benedica e moltiplichi chi impara dai propri errori
Ci sono anche quelli che hanno capito. Il liberalismo è in crisi ma Alexis Tsipras e Maurizio Landini hanno capito che è insostituibile, che è di sinistra, per dirla con Giavazzi, che oltre il liberalismo c’è solo l’illiberalismo, una democrazia trombona, nazionalista squinzia e un po’ fascista, e senza veri diritti. Così pare, almeno. Tsipras è elettoralmente in difficoltà, d’accordo, non si salva impunemente un paese che si prometteva di riscattare e distruggere, con una svolta di 180 gradi, dal populismo antiturbocapitalista alla saggia transizione postdebito, fatta di rigore nei conti pubblici e di privatizzazioni, con lo sconto dei costi sociali di un’austerità dopo la baldoria: gratificati e disciplinati, i tuoi in parte ti abbandonano, sfidati e battuti, quelli più liberali di te ti incalzano. Vabbè. Intanto dalla bella Grecia è venuta una lezione di realismo politico, che perfino Luciana Castellina è stata in grado di apprezzare senza riserve. E un’esperienza di ricostruzione di un’identità di governo e di trasformazione, da sinistra, nel segno delle coerenze di un’economia libera e che deve guadagnarsi la propria indipendenza combattendo l’isolamento e la furia autarchica dei populisti, cercando di limitare i danni della vecchia e nuova demagogia dei Varoufakis. Perderà, forse, ma resterà, con tanti che vincono e promettono di passare presto senza lasciare altro che macerie.
Quando tirava la volata a leghisti e grillozzi nei talk-show, Landini era insopportabile, come unica scusante aveva un effettivo e, a guardar dietro con il senno di poi, insensato disinteresse verso la concertazione politica con il sindacato di buoni governi di sinistra troppo innamorati delle startup e delle vecchie intraprese della borghesia industriale zuzzurellona, Marchionne a parte. Minacciato di rottamazione, Landini partiva piano, finiva sempre forte e sempre nello stesso modo: il mondo è pieno di ricchi che non pagano le tasse, bisogna impoverirli di brutto, e di lavoratori protetti che devono difendere la loro cittadella nel segno della passività conservatrice e di leggi a tutela varate nel 1968. Si esibiva regolarmente come un trofeo per i cazzabubboli dell’onestà-tà-tà, era il loro operaio-eroe, quello, e l’unico del loro fronte combattivo, che in vita aveva lavorato, una sponda perfetta per i redditi di debitanza e per i pensionamenti anticipati, per non parlare della palla degli esodati. Eppure alla lunga Landini non ha retto a sé stesso, e già allora in fondo si vedeva che parlava anzi urlazzava di malavoglia dal corner, dall’angolo a cui lo aveva costretto il liberalismo di governo della sinistra che ebbe l’illusione di fare da sola, peraltro tra i miei stolidi applausi. Acquisita una dimensione nazionale e confederale, proprio quando l’onda demente con cui era stato in sintonia come capo dei metallos aveva travolto tutto, è rimasto come paralizzato per un tempo anche lungo. Quelli dicevano di voler fare quanto lui aveva preconizzato con oltranzismo e imprudenza e intanto realizzavano recessione e disoccupazione anche precaria nel nome della dignità e del lavoro nero: che fare?
Landini vuole ora un sindacato unico, parla come un nuovo Di Vittorio, si reinscrive con naturalezza nella teoria dei capi Cgil riformisti, che sono sempre stati nel bene e nel male i più combattivi e i più efficaci, e annuncia lotta dura, e scioperi generali, contro le politiche di un governo che ha sollevato i fantasmi della paura in nome del popolo e al popolo finisce per far pagare il conto stesso della paura autarchica. Al figliol prodigo si sacrifichi ovviamente il vitello grasso. Le vecchie talpe scavano sempre bene, ben scavato, e alla fine uno che viene dall’industria ha deciso di non morire per i valori della pigrizia e della demagogia, il che è come per Tsipras un bel passo in avanti. Dio ci conservi quelli che l’hanno capita, e li moltiplichi.
Antifascismo per definizione
Parlare di patria è paccottiglia nostalgica e un po' fascista? Non proprio
cortocircuiti Nimby