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Dai ballottaggi in Emilia Romagna usciranno indizi per le regionali

David Allegranti

La Lega è favorita a Ferrara e in tutta la regione è al 33 per cento, ma nel resto manca una classe dirigente. Spunti post europee

Roma. Cinque anni fa la Lega a Ferrara era quasi inesistente: appena 2.471 voti – pari al 3,36 per cento – alle elezioni comunali vinte dal centrosinistra con oltre il 55 per cento. Un altro mondo rispetto a oggi. Lo scorso 26 maggio il partito di Matteo Salvini ha preso il 30,94 per cento (22.093 voti) e il candidato del centrodestra Alan Fabbri ha sfiorato la vittoria al primo turno con il 48,44 per cento, lasciando gli avversari di centrosinistra al 31,75 (con il Pd al 21,82). Alle Europee la Lega è riuscita ad andare ancora meglio, con il 36,65, mentre il Pd è rimasto fermo al 29 per cento, meglio delle Comunali ma comunque sotto la media regionale. Non una sorpresa, a dire il vero le avvisaglie si erano avute già l’anno scorso, quando Dario Franceschini perse nel collegio uninominale.

 

Ferrara non è l’unico capoluogo dell’Emilia-Romagna che domenica prossima andrà al ballottaggio: ci sono anche Reggio Emilia, Forlì e Cesena. A Reggio la Lega è andata molto meno bene ma per la prima volta il centrosinistra, nel comune di cui Graziano Delrio è stato sindaco dal 2004 al 2013, è costretto al ballottaggio, seppure per poco. Il candidato Luca Vecchi si è fermato al 49,13, mentre il candidato di centrodestra Roberto Salati non è andato oltre il 28,22. Il caso emiliano-romagnolo, con il centrosinistra che entra in crisi, non nasce adesso (do you remember Bologna nel 1999 con la vittoria di Giorgio Guazzaloca e Parma con quella di Federico Pizzarotti nel 2012?) ma questi ballottaggi sono importanti per capire che cosa succederà alle prossime regionali.

 

L’ultima volta Stefano Bonaccini vinse con il 49 per cento ma con un’affluenza molto bassa: appena il 37 per cento. Il governatore uscente non ha ancora ufficializzato la sua ricandidatura, ma dice con formule antiche di essere a disposizione. La Lega cammina sulle macerie del centrosinistra, un po’ come dappertutto, ma nelle (ex) regioni rosse colpisce sempre di più. Certo c’è un problema di classe dirigente (un caso analogo a quello dell’Umbria). A livello regionale il partito di Salvini alle ultime europee ha preso il 33,77 per cento contro il 31,24 del Pd, “però la Lega – dice al Foglio il politologo Gianfranco Pasquino, in libreria con ‘Bobbio e Sartori. Capire e cambiare la politica’ (Università Bocconi Editore) – non ha un candidato, non ha una figura visibile. Non so se Lucia Borgonzoni abbia voglia di mettersi in gioco per la carica di presidente dell’Emilia Romagna, certo contro Virginio Merola a Bologna ha perso alla grande. E il presidente, in una competizione dove si vince raggiungendo la maggioranza relativa, fa la differenza”.

 

Al momento insomma alla Lega manca questa forza d’attrazione e non è detto che in futuro ce l’avrà, dice Pasquino: “Potrebbe anche avere un candidato non gradito, non particolarmente popolare e brillante”. Insomma, dice il politologo, la Lega deve anzitutto fare un accordo con il centrodestra e dire a Meloni e Berlusconi che il candidato o la candidata sarà della Lega. “Però Borgonzoni non mi pare trascinante anche se è spesso in tv, un elemento da non sottovalutare”. Ma come mai il centrosinistra ha perso così tanto consenso in questi anni? La storia, come detto, parte da lontano: “Gli amministratori del Pd e dintorni sono straordinariamente compiaciuti. Dicono: ‘Siamo i più bravi, abbiamo una storia e una tradizione, abbiamo ottimi amministratori, non c’è alcuna ragione per la quale dobbiate votare altri’. Ora, alcune affermazioni sono anche corrette, incidentalmente la regione cresce, le industrie emiliano-romagnole esportano dappertutto. Ma nel centrosinistra ci sono persone mediocri, non pessime ma mediocri sì, senza alcun tratto di originalità. E questo ha irritato una società che è insoddisfatta per molti motivi, anche generali e nazionali, non necessariamente locali, ma che vedono uno scarso dinamismo nei governanti”. Secondo Pasquino, questa insoddisfazione è testimoniata dalla partecipazione, scarsa, alle ultime regionali: “Due emiliani su tre si sono astenuti. Ed è stata un’astensione consapevole. ‘Non possiamo votarvi più, ma non votiamo neanche gli altri perché non sono granché lo stesso’. Molto si giocherà sulla mobilitazione di una parte, non piccola dell’elettorato, che il centrosinistra dovrà andare a cercare. Bonaccini, che è un uomo capace, non mi pare mobilitante”. Non ha ancora annunciato la sua ricandidatura. “E’ un riflesso riflesso condizionato del passato, quando c’era il partito a dire cosa fare. Invece no: Bonaccini è stato eletto dai cittadini ed è a loro che deve dire cosa vuole fare”.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.