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Perché Salvini sulla nave “Mare Jonio” scavalca lo stato di diritto

David Allegranti

Francesca De Vittor, ricercatrice di diritto internazionale alla Università Cattolica di Milano, ci spiega le gravi anomalie della direttiva del ministro dell'Interno

Roma. A gennaio, l’ASGI, Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, aveva inutilmente cercato tracce del provvedimento di chiusura dei porti decantato da Matteo Salvini. Stavolta il salvataggio effettuato dalla nave Mare Jonio è l’occasione per l’emanazione di una “direttiva” del ministero dell’Interno “per il coordinamento unificato dell’attività di sorveglianza delle frontiere marittime”.

 

Ancora una volta nessuna chiusura dei porti, come osservava ieri Luigi Manconi su Twitter. “Almeno però al posto di un post su Facebook abbiamo un atto ufficiale, cioè qualcosa di cui parlare”, dice al Foglio Francesca De Vittor, ricercatrice di diritto internazionale alla Università Cattolica di Milano. “Un primo aspetto grave da rilevare è che prescinde dagli obblighi di rispetto dei diritti dell’uomo che l’Italia, come altri stati, è tenuta a osservare, e che non sono nemmeno menzionati. Peraltro alcune affermazioni della direttiva, anche in materia di diritto del mare e di obbligo di soccorso in mare, non sono compatibili con il diritto internazionale applicabile”.

 

La direttiva infatti presuppone che i migranti soccorsi in mare possano essere portati in Libia, ma sottolinea De Vittor “un soccorso in mare si conclude, per espressa previsione delle norme applicabili, solo con lo sbarco in un porto sicuro e la Libia, dove i migranti subiscono violazioni gravissime dei diritti umani fondamentali, non può essere considerata tale”. Nel caso particolare della Mare Jonio “va precisato che è una nave battente bandiera italiana che attualmente si trova in acque territoriali italiane. Questo significa che è sotto la giurisdizione italiana e che le persone a bordo hanno diritto al rispetto della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”.

 

Ci sono peraltro dei precedenti. Nel 2012 l’Italia è stata condannata nella causa Hirsi Jamaa e altri contro Italia, per aver riportato in Libia dei migranti soccorsi in acque internazionali senza consentire loro di presentare domanda di asilo. Un’altra questione discutibile, contenuta nella direttiva Salvini, riguarda i pericoli che i migranti a bordo della Nave Jonio comporterebbero per il paese. Nella direttiva si legge: “Non può… non essere ritenuto … che il passaggio della nave soccorritrice nelle acque territoriali italiane sia lesivo del buon ordine e la sicurezza dello Stato italiano, in quanto finalizzato a introdurre migranti irregolari, in violazione delle leggi vigenti in materia di immigrazione, privi altresì di documenti di identità e provenienti in parte da paesi stranieri a rischio terrorismo”. Dice De Vittor: “Se c’è il sospetto, che a bordo della nave ci siano delle persone pericolose, allo sbarco quelle persone saranno identificate e si adotteranno le misure individuali opportune. Qui invece l’operazione è giuridicamente assurda: si afferma in pratica che poiché provengo da un paese pericoloso sono una persona pericolosa. Non posso essere considerata una persona pericolosa in ragione della mia provenienza. Se fosse così, salterebbe lo stato di diritto. E’ come se qualcuno sostenesse che chi viene dalla Sicilia è in automatico un mafioso, e tutti vedono l’assurdità di una tale affermazione”. 

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.