La campagna mediatica di Viktor Orbán, che ha accusato George Soros e Jean-Claude Juncker di essere responsabili della crisi dei migranti in Europa (Foto LaPresse)

Sul caso Orbán, Forza Italia starà con i popolari o con i populisti?

Gregorio Sorgi

Il voto sull'espulsione del premier ungherese dal Ppe è un test per capire le future alleanze a Bruxelles. Cosa farà Berlusconi?

Roma. La scelta del Partito popolare europeo (Ppe) sulla possibile espulsione del premier ungherese, Viktor Orbán, è uno snodo fondamentale per capire quale sarà l’alleanza dei popolari dopo le elezioni europee. Il partito è diviso su questo tema, e il voto dell’Assemblea politica del Ppe il prossimo 20 marzo sarà un test per capire il peso delle diverse correnti del gruppo. “Siamo più divisi di quello che si pensa su questo argomento – dice al Foglio un membro italiano del Ppe –. In ballo c’è il tema dell’alleanza dopo le elezioni di maggio. Popolari e socialisti non avranno i numeri per governare e cercheranno i voti dell’Alde, che però ha posto l’espulsione di Orbán dal Ppe come condizione di una futura alleanza”. Anche il candidato di punta dei socialisti europei, Frans Timmermans, ieri ha detto a proposito delle alleanze: “Il Ppe o sta con noi o sta con Orbán”. Se i delegati popolari dovessero liberarsi del premier ungherese, allora sarebbe più facile costruire la “maggioranza europeista” di cui hanno parlato i maggiori azionisti del Ppe. Inclusi i democratici-cristiani tedeschi, che sono il gruppo più numeroso e più influente e a cui appartiene il candidato di punta dei popolari alle europee, Manfred Weber.

 

  

Al contrario, se i delegati dovessero salvare Orbán, ne uscirebbe rafforzata la corrente minoritaria che chiede un’improbabile coalizione tra il Ppe e la destra populista. Per questo motivo, trasformare il voto del 20 marzo in un referendum sulle alleanze post-elettorali, rende più probabile l’espulsione di Orbán. Mario Mauro, il presidente dei Popolari per l’Italia, sostiene che la valutazione su Orbán deve essere slegata dal discorso sulle alleanze. “Sceglierò sulla base dell’evidenza – spiega al Foglio – Penso sia incoerente decidere l’espulsione di Orbán pensando alle alleanze post-elettorali”.

 

Nel complesso scacchiere politico del Ppe, spicca la posizione anomala di Forza Italia, che non sa da che parte stare in questa vicenda. Berlusconi si pone come l’argine ai populisti a Roma, ma è uno degli sponsor più influenti di Orbán a Bruxelles. Il Cavaliere ha un vecchio rapporto di amicizia col premier ungherese, e ieri in un’intervista al Resto del Carlino gli ha espresso il suo sostegno: “Il Ppe deve aggregare in modo più forte tutte le forze politiche alternative alla sinistra”. Berlusconi era stato uno dei pochi a paventare una coalizione tra popolari e sovranisti, e oggi il suo partito vive la vicenda Orbán con un certo imbarazzo. “Sosteniamo l’ultimatum di Weber a Orbán”, dice al Foglio l’eurodeputata di Forza Italia, Lara Comi. Tuttavia, il premier ungherese ha confermato di non volere andare incontro alle richieste di Weber, soprattutto quella che riguarda la riapertura della Central european university (Ceu), l’ateneo fondato dal finanziere George Soros a Budapest.

 

Se Orbán dovesse continuare a ignorare i moniti del Ppe, cosa farà Forza Italia? “Questo non lo sanno nemmeno loro, usano delle frasi ambigue perché non hanno una strategia – spiega una fonte del Ppe –. Dipende tutto da Berlusconi, che alla fine dei giochi si convincerà a sostenere Orbán . Il giorno prima del voto gli dirà: ‘Viktor stai tranquillo, ci penso io’”. Il rischio, in questo caso, è che Forza Italia finisca in minoranza nel Ppe. I tedeschi e i francesi probabilmente voteranno contro Orbán, quindi Berlusconi potrebbe ritrovarsi solo di fianco ai partiti dell’est Europa. Ogni gruppo è libero di scegliere chi inviare all’Assemblea del 20 marzo, e la lista dei partecipanti sarà di per sé un segnale politico rilevante. “Il livello della delegazione è un segno di quanto ogni partito intende sbilanciarsi – spiega una fonte del Ppe –. La scelta di Orbán di partecipare o meno ci farà intuire se la battaglia è vinta o persa. Non ci dimentichiamo che lui non è un parvenu della politica ungherese, è al potere da molto tempo. Per questo, un suo divorzio dal Ppe sarà una bocciatura al processo di allargamento. In caso di separazione, il messaggio politico sarà che l’ingresso dei paesi dell’est è stato un fallimento”.

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