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Orbán vuole rimanere nel Ppe ma non sa come dirlo ai suoi ungheresi

Micol Flammini

In una Budapest (quasi) senza manifesti contro l’Ue, Manfred Weber chiede a Fidesz di dar prova del suo europeismo

Roma. Per prepararsi all’arrivo di Manfred Weber a Budapest, Orbán ha fatto togliere i cartelli contro Bruxelles. Non tutti a dire il vero, ma soltanto quelli sulla strada che dall’aeroporto conduce fino al centro della città. La prima cosa che Weber, leader del Partito popolare europeo, ha fatto è stata andare alla Ceu, la Central european university; ha incontrato il rettore Michael Ignatieff e gli studenti che lo hanno accolto con un piccolo manifesto: “Avete il diritto di sapere qual è la linea rossa del Ppe” e secondo gli studenti, la linea rossa Orbán l’ha sorpassata da tempo. Nel manifesto le facce di Weber, Tusk, Merkel e Kurz.

 

Il 20 marzo il Ppe deciderà se espellere o no Viktor Orbán dal partito, il premier ungherese ha portato avanti una campagna contro l’Unione europea molto forte, in un crescendo di provocazioni che rendono difficile la sua presenza all’interno della grande famiglia europea. Non sono molte le alternative per Orbán, come ha annunciato la scorsa settimana, qualora la sua avventura nel Ppe dovesse finire, starebbe pensando di andare con i polacchi, raggiungere il PiS tra i conservatori e riformisti – Kaczynski non aspetta altro, con la Brexit e l’uscita dei Tory dal Parlamento Ue, l’Ecr ha bisogno di deputati –, ma Orbán ha ripetuto che preferirebbe rimanere comunque nel Ppe. L’Ungheria invece gonfiata dai toni di questi anni di campagna elettorale permanente gli chiede di andarsene, di non aspettare che sia Bruxelles a decidere per lui, di formare qualcosa di nuovo. Ma anche se non riesce a spiegarlo agli ungheresi, Viktor Orbán sa che se Fidesz perde i suoi seggi all’interno del Ppe, invidiati da tutti gli altri sovranisti, perderà la sua posizione privilegiata in Europa. Dopo aver drogato gli ungheresi di risentimento nei confronti dell’Ue – “un tempo combattevamo contro i carri armati sovietici ora combattiamo contro Bruxelles”, aveva detto il premier durante la commemorazione della Rivoluzione ungherese del 1956 – Orbán non sa più come fermare la propaganda contro l’Unione e come spiegare che è necessario fermarsi un attimo, moderare i toni, allentare l’euroscetticismo e vedere come sopravvivere. La scorsa settimana uno dei quotidiani più importanti del paese, il Magyar Nemzet, ha pubblicato un editoriale in cui esortava il leader di Fidesz a non aspettare che sia il Ppe a cacciarlo, ad andarsene da solo. Le minacce, i toni arrabbiati, il ribollire costante di sentimenti euroscettici sono arrivati al punto in cui il premier ha chiesto alle sue stesse testate un po’ di moderazione.

 

Lunedì, prima che Manfred Weber arrivasse a Budapest, i giornali, le televisioni e i siti, lo attendevano parlando di complotti: “Arriva a Budapest l’ambasciatore del Quarto Reich”, ha scritto Bálint Botond, giornalista del sito Mandiner. Per Orbán gestire il suo rapporto con il Ppe – che gli ha imposto tre condizioni se vuole rimanere al suo interno, due per Fidesz più accettabili, fermare la campagna contro Bruxelles e chiedere scusa ai colleghi offesi, e una meno, permettere alla Ceu di rimanere a Budapest – sarà complicato. Dovrà spiegare ai suoi cittadini che fare un passo indietro può essere necessario e se è necessario è perché stare nella più grande famiglia europea ed europeista è importante e se i cittadini avranno voglia di svegliarsi gli chiederanno conto di tutta la rabbia contro Bruxelles. Esiste anche un’altra opzione: che il premier non riesca a placare i suoi ungheresi.

 

Ieri, a conclusione dell’incontro con Orbán, Weber ha tenuto la conferenza stampa davanti alla sinagoga, al fianco del capo della comunità ebraica ungherese, András Heisler. Ha detto che il colloquio è stato costruttivo, ma che bisognerà ancora parlare, parlare, discutere. Fidesz dovrà dimostrare di credere nei valori del Ppe. A Budapest il leader ungherese era imbronciato, capisce che davanti a sé ha due strade: o tradire il Ppe o ammettere davanti ai suoi ungheresi che la sua campagna contro Bruxelles era eccessiva.

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