La Camera dei deputati (foto LaPresse)

La legittima difesa e il malinteso sulla dissidenza interna al M5s

Valerio Valentini

I ribelli pentastellati restano gli stessi del decreto sicurezza: venticinque

Roma. Alle cinque del pomeriggio, quando la temuta diserzione sulla legittima difesa si concretizza in un manipolo di deputati che evitano di stare in Aula al momento del voto, Manlio Di Stefano quasi se la ride a sentire i commenti allarmati dei cronisti: “Venticinque assenti di cui solo qualcuno non giustificato su 220”, osserva il sottosegretario grillino agli Esteri. “E dovremmo preoccuparci?”.

 

Chi tiene il borsino del malessere interno, nel M5s, esterna serenità: a novembre, sul decreto sicurezza, i contrari furono diciannove. Oggi, dopo tanto parlare di fratture e scissioni, su un argomento analogo, i ribelli quelli restano: venticinque, appunto, contando gli assenti. Tra loro c’è Riccardo Ricciardi, regista teatrale massese, che però ripudia perfino l’etichetta di dissidente. “Semplicemente, al momento del voto mi dimenticherò che devo votare”, dice. Poi, se gli si parla di Tav e di possibili abiure, se la prende con Alfonso Bonafede, il ministro della Giustizia che ha iniziato la sua carriera politica proprio opponendosi all’alta velocità tra Roma e Firenze: “Mi auguro per questo che anche lui faccia quello che deve, faccia sentire la sua voce nel governo”. Ma di lasciare il M5s, non ne vuole sentire parlare. “Io dico solo che il M5s deve fare il M5s”, dice Luigi Gallo, presidente della commissione Cultura e uno dei fedelissimi del presunto capo della minoranza interna, Roberto Fico.

 

Accanto a lui, in Transatlantico, c’è Andrea Colletti: “L’ho votata, sì, la legittima difesa”, confessa. E dire che, pure lui, lo si considera spesso un dissidente. “Non sono il tipo di dissidente a prescindere”, replica, quasi in segno di scherno nei confronti di chi ormai sembra essersi ritagliato questo ruolo. Sono un cinquantina, in tutto, quelli arrabbiati: questo spiega a Di Maio chi gli tiene la contabilità in Parlamento. Ma tra loro sono disuniti, spesso perfino ostili, di certo – ancora – non organizzati. Si ritrovano a giorni alterni, su diverse questioni, a condividere un malessere piuttosto che un altro: ecco tutto. E lo stanno capendo anche nel Pd, che stabilire un dialogo costante con la sedicente “ala sinistra” del M5s è difficile. E d’altronde, a sentire parlare di “corrente interna”, Mattia Fantinati scuote la testa: “Ma quali correnti di dissidenti?”, dice il sottosegretario alla Pubblica amministrazione. “Per noi la lealtà è un valore. E anche se la legittima difesa non era la nostra priorità, abbiamo votato perché c’era il nostro impegno: è un provvedimento nel contratto di governo. Qui siamo portavoce. Uno vale uno. Se vuoi rappresentare la tua posizione senza vincoli, ti fai eleggere da un partito, non fai politica nel M5s”.

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