Una manifestazione del 2015 dei risparmiatori "truffati". Foto LaPresse

Truffa ai “truffati”

Valerio Valentini

Ideatori di bond veneti e saltimbanco con velleità politiche. Ecco chi spinge il governo alla nuova folle guerra con l’Unione europea

Roma. Uno, il grillino, è famoso per avere stampato i bond serenissimi, i titoli di stato della Repubblica veneta, e ora ha un filo diretto coi fedelissimi di Luigi Di Maio. L’altro, il leghista, si vanta del suo ruolo di “stalker” di Andrea Paganella, il braccio destro di Matteo Salvini. Intorno a loro, in una gara di invidie reciproche tra associazioni, fra tanti disgraziati che sperano soltanto di essere risarciti, una pletora di saltimbanchi e avvocati che sulla disperazione dei risparmiatori “truffati” hanno costruito un business. E forse parrà surreale, ma a imporre la linea al governo sui risarcimenti per il crac delle banche popolari è proprio questa lobby stracciona, che per mesi si è vista coccolata e ora tiene sotto ricatto elettorale Lega e M5s, al punto da spingere Di Maio e Salvini a ingaggiare l’ennesima strampalata guerra contro l’Europa. 

   

Nelle scorse ore, dal Mef è stata spedita a Bruxelles una lettera in cui il governo italiano liquida con un’alzata di spalle i dubbi della Commissione sull’iter adottato per procedere ai rimborsi dei risparmiatori travolti dal crac delle banche venete, Etruria, CariFerrara, Marche e Chieti. Di Maio, del resto, era stato chiaro: “Ci dicono che non si può fare? E noi lo facciamo lo stesso”, aveva annunciato il 9 febbraio scorso di fronte all’assemblea dei risparmiatori delle banche venete fallite, ricevendo subito il plauso dell’altro vicepremier, seduto accanto a lui a presidiare lo stesso bacino elettorale. Quello, cioè, chiamato a raccolta da Luigi Ugone, presidente dell’associazione “Noi che credevamo nella BpVi”, e da anni animatore di iniziative e proteste fra Triveneto, Toscana e Roma. Sul proscenio del Palasport di Vicenza, quel sabato mattina Ugone ha esibito con orgoglio tutta la sua confidenza con lo stato maggiore della Lega. Ha ricordato i suoi rapporti col ministro Erika Stefani e non ha esitato a intervenire in difesa di Luca Zaia quando dalla platea in subbuglio hanno rinfacciato al governatore veneto di avere sostenuto, in tempi non sospetti, la trasformazione delle popolari venete in spa. Al Carroccio, però, Ugone, già assessore di una giunta civica nella natia Altavilla Vicentina, è arrivato solo in tempi recenti. Prima c’è stato il corteggiamento del M5s: Di Maio, a caccia di voti nel nord-est, in vista del 4 marzo gli aveva offerto una candidatura nell’uninominale. Ugone ha rilanciato, chiedendo un posto blindato nel proporzionale, e alla fine non se ne è fatto niente.

   

Chi invece col M5s ha accettato di correre nel seggio della sua Montebelluna, è stato l’avvocato Andrea Arman, animatore del comitato “Don Torta”, che da azionista ha perso oltre 700 mila euro nella Popolare di Vicenza e, di fatto, contraltare grillino di Ugone. Vecchio esponente della Liga Veneta, nel 2014 coordinò il trust di cervelli indipendentisti che creò i “bond venetisti” che avrebbero dovuto finanziare la rinascita della Serenissima attraverso il comitato secessionista “Plebiscito.eu”. Anche lui, reclutato dal M5s nel dicembre 2017, è entrato a fare parte di una sorta di cabina di regia istituita dal governo su suggerimento di Alessio Villarosa, il sottosegretario grillino all’Economia. E insieme a lui, in questo gruppo di rappresentanti di “risparmiatori traditi” a cui Di Maio ha chiesto di collaborare nella stesura dei decreti attuativi per i rimborsi, ci sono vari avvocati che, proponendosi come legali difensori dei “truffati”, stanno di fatto costruendo una piccola fortuna personale. E siccome le europee si avvicinano, Di Maio e Salvini intendono assecondare le esose pretese delle associazioni. Il governo ha deciso di sopprimere l’Arbitro per le controversie finanziarie (Acf) istituito presso la Consob, per sostituirlo con un costituendo, e non meglio definito, “Comitato dei nove”, che farà capo a Via XX Settembre. Una scelta che potrebbe causare una condanna all’Italia per un evidente aiuto di stato, essendo venuto meno il filtro che possa vagliare su basi giuridiche le richieste di risarcimento. Ma più ancora dell’incompatibilità con le norme comunitarie, questa decisione appare in contrasto perfino col buon senso. E non a caso negli uffici tecnici del Mef c’è parecchia perplessità. L’Acf era costituito da dieci collegi sindacali in cui lavoravano 50 esperti che si riunivano due volte a settimana: una potenza di fuoco in grado di valutare fino a 50 mila richieste all’anno. Ora, questi nove tecnici che verranno nominati (come? da chi? su che basi?), dovranno, non si sa bene attraverso quali uffici, esaminare i circa 300 mila casi.

   

A meno che, alla fine, l’obiettivo di Di Maio e Salvini non sia un altro. Accalappiare il consenso dei comitati e dei loro numerosi seguaci, e ingaggiare una battaglia con l’Europa: il tutto per conquistare qualche punto in più alle europee del 26 maggio. Prima di fare anche sui rimborsi ai “truffati”, come già è avvenuto con la manovra, pubblica abiura.

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