La Banca d'Italia (foto LaPresse)

La strategia grillina su Bankitalia è controproducente. Esempi

Luciano Capone

Di Maio ricorda quel colombiano che voleva abbattere il portone di Palazzo Koch a calci e pugni

Roma. Il piano del M5s nello scontro con la Banca d’Italia sembra ideato da Torres Soban Sebastian Chabarro. Non si tratta di uno stratega o di un guerrigliero sudamericano, ma di un giovane colombiano che lo scorso anno ha tentato il colpo del secolo: svaligiare l’oro custodito nel caveau di Palazzo Koch. In questo modo. Nella notte di Pasqua, Chabarro scavalca il cancello di Via Nazionale, salta di sotto e si dirige a passo svelto verso il portone, che tenta di abbattere a calci e pugni finché non viene portato via dai carabinieri. Il livello di elaborazione strategica nell’aggressione alla Banca d’Italia è lo stesso, ma le conseguenze per il paese rischiano di essere ben più serie. 

 

Le testate di Luigi Di Maio contro il portone di Palazzo Koch hanno preso la forma del no alla conferma di Luigi Federico Signorini nel ruolo di vicedirettore generale. Anche se il suo nome compare ancora sul sito della Banca d’Italia, il mandato di Signorini è scaduto l’11 febbraio e da due giorni il direttorio – composto dal governatore, dal direttore generale e da tre vicedirettori generali – funziona con un membro in meno. Il M5s ha raccolto le accuse a Signorini in un dossier: le sue colpe, secondo quanto emerso dai giornali, riguardano diverse audizioni parlamentari in cui si sarebbe espresso a favore delle proposte della Commissione europea sull’unione bancaria, a favore del recepimento della direttiva Brrd (sul bail-in) e contro – o comunque non a favore – la manovra del governo.

 

Il problema è che tutte queste posizioni espresse nelle audizioni parlamentari non sono opinioni personali di Signorini, ma la linea ufficiale dell’istituzione (quindi del governatore Ignazio Visco), che il vice direttore generale aveva il compito di rappresentare. Nel dossier, l’unica colpa individuale – se così si può dire – imputata a Signorini sarebbe la sua “simpatia giovanile a sinistra”. Un’accusa che, oltre a essere indecente, è anche falsa perché chi lo conosce sa che da ragazzo faceva parte della Gioventù liberale.

  

Il problema è che, di fronte a un “atto di accusa” così sgangherato e istituzionalmente sgrammaticato, il governatore Visco non può fare alcun passo indietro: sostituire il nome di Signorini comporterebbe la delegittimazione dell’istituzione, la fine della sua autonomia e la perdita di credibilità, nazionale e internazionale, di chi la rappresenta. E non è possibile che sia qualcun altro a scegliere un altro nome, perché l’iter prevede che a indicare i membri del direttorio sia il governatore della Banca, a cui poi segue l’approvazione del presidente della Repubblica attraverso un decreto promosso dal presidente del Consiglio di concerto con il ministro dell’Economia (sentito il Consiglio dei ministri). Insomma, il M5s non ha il potere di cambiare nome e Visco, che ce l’ha, non può permetterlo.

 

Di questo è consapevole Giuseppe Conte (anche perché può contare sui consigli di Piero Cipollone, suo collaboratore e alto dirigente della Banca d’Italia), e pertanto il premier potrebbe decidere, in accordo con Tria, di portare al Quirinale il nome di Signorini. Dell’inutilità di una prova di forza se n’è reso conto pure Matteo Salvini che, dopo l’iniziale richiesta di “azzeramento” totale dei vertici, ha fatto una retromarcia: “Qualcosa va cambiato, non necessariamente qualcuno”. Chi invece è intenzionato ad andare allo scontro istituzionale è Di Maio: ieri il Sacro blog ha annunciato che il M5s vuole “esprimersi sui nomi dei vertici di Banca d’Italia” e cambiarli per “mandare un messaggio”.

 

Questo continuare a sbattere i pugni contro il portone di Bankitalia mette alle strette Conte, che non può rinviare la decisione di molti mesi (come ad esempio ha fatto per Consob), magari a dopo le europee, perché a maggio scade il mandato di altri due membri del direttorio, Salvatore Rossi e Valeria Sannucci. E senza tre componenti su cinque verrebbe bloccata l’attività dell’istituto, con riflessi sul Sistema europeo delle banche centrali (di cui Banca d’Italia fa parte). Un’eventualità inimmaginabile, che farebbe precipitare la fiducia nel paese di istituzioni e investitori internazionali.

 

Per capire a cosa porta la strategia miope di Di Maio basta guardare all’Ivass: tra pochi giorni, il 15 febbraio, l’autorità di vigilanza sulle assicurazioni non sarà più in grado di funzionare, perché scadrà la proroga di due consiglieri su tre, il cui mandato era terminato a fine anno. Il governatore Visco aveva indicato a novembre la conferma di Alberto Corinti e Riccardo Cesari. La procedura di nomina dei consiglieri Ivass è simile a quella del direttorio di Bankitalia, con la differenza che a portare il nome indicato in Cdm deve essere il ministro dello Sviluppo economico. Solo che da novembre Di Maio non l’ha mai fatto, sempre perché vuole un “cambiamento”. Ma senza un atto formale che motivi la bocciatura dei nominativi indicati, Visco non può neppure cambiarli. Così è tutto bloccato e l’Italia rischia, da venerdì, di non avere l’Authority di vigilanza sulle assicurazioni operativa.

 

Se il colombiano Chabarro fu scagionato dai giudici perché l’assalto a mani nude a Palazzo Koch per saccheggiare il caveau della Banca configurava un “reato impossibile”, la pervicace strategia di Di Maio può invece non essere priva di conseguenze spiacevoli: l’omissione di atti che conducono alla paralisi di un’authority comporta ricadute legali su cui potrebbe non esserci la stessa clemenza.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali