Salvatore Rossi (foto LaPresse)

"L'oro è del popolo", scriveva il direttore di Bankitalia. Appunti per Salvini

Massimo Bordin

Quando Salvatore Rossi ricordava in un libro che "la Banca d’Italia, per la legge italiana, è un istituto di diritto pubblico, che opera quindi nel pubblico interesse"

C’è una coincidenza, in questa nuova puntata del conflitto fra politica e Banca d’Italia, che merita di essere sottolineata nel momento in cui si ritorna a toccare l’argomento simbolico al massimo grado in materia: l’oro. La polemica nasce però da una questione di incarichi di vertice da rinnovare e fra essi, a maggio di quest’anno, mese politicamente delicatissimo a causa delle contemporanee elezioni europee, scadrà anche quello del direttore generale della banca centrale, Salvatore Rossi. La coincidenza sta in un libro, meno di 150 pagine edite dal Mulino, che giusto a maggio avrà compiuto un anno. Il titolo è “Oro” e naturalmente l’autore è Salvatore Rossi. Così la nuova puntata sul tema della proprietà e disponibilità dei lingotti, già riproposto da Salvini e, in stile più sinuoso, dal suo compagno di partito Borghi, trova già una risposta scritta in anticipo. Basta andare a pagina 47 dell’aureo libretto, dove Rossi scrive fra l’altro: ”Sul piano giuridico la risposta è univoca: l’oro delle banche centrali è delle banche centrali. Nell’area dell’euro la questione è ora definita dal trattato che l’ha istituita, che ha rango costituzionale. La Banca d’Italia, per la legge italiana, è un istituto di diritto pubblico, che opera quindi nel pubblico interesse. Ha la proprietà giuridica dell’oro ma non può farne quello che vuole. Da un punto di vista politico, in ultima analisi l’oro è del popolo: questo può sempre attraverso le sue istituzioni rappresentative cambiare le norme”. Ma conclude: “Tenendo sempre presente l’adesione dell’Italia all’area dell’euro e gli obblighi che conseguono”. Siamo così al cuore della vera questione.

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