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Il compromesso sulle banche e i gialloverdi ostaggio dei loro estremisti

Valerio Valentini

La norma sui rimborsi dei risparmiatori va in consiglio dei ministri, ma le due associazioni più vicine a Lega e M5s bocciano il testo: “Dal governo non ci hanno fatto vedere le carte”

Roma. Quando esce dal portone principale di Palazzo Chigi, il volto studiatamente teso, Luigi Ugone viene assalito dal nugolo di cronisti che sciamano su di lui con l’ansia che di solito si riserva ai ministri. Lui, in verità, si atteggia più a sindacalista massimalista (“ha imboccato di corsa le scale mentre ancora ci stavamo salutando col presidente Conte, ci teneva a parlare per primo”, gli rinfacceranno poi i suoi colleghi). “Dal governo non ci hanno fatto vedere le carte. Io non firmo niente a scatola chiusa”, sbuffa infatti Ugone, presidente dell’associazione “Noi che credevamo nella Bpv”, al termine dell’incontro organizzato dal premier e dal ministro dell’Economia Giovanni Tria per trovare un accordo sui rimborsi ai risparmiatori coinvolti nel fallimento delle banche popolari. La mano di Ugone è rimasta bassa, al momento della verità: su diciannove associazioni presenti l’unico a non promuovere la proposta del governo è stato proprio lui, insieme ad Andrea Arman, avvocato dell’associazione “Don Torta”, che raccoglie i risparmiatori di Veneto Banca. “Ci hanno messo con le spalle al muro, sperando che noi ci arrendiamo. Ma noi piuttosto ci facciamo fucilare”, dice Arman.

     

La strada imboccata dal governo corre lungo un doppio binario: rimborso automatico per chi ha un reddito inferiore ai 35 mila euro o un patrimonio mobiliare fino a centomila euro (gli stessi parametri adottati dai governi del Pd per il rimborso degli obbligazionisti subordinati, a proposito di “cambiamento”); per gli altri, invece, si passerà per l’arbitrato del Mef, una commissione di nove tecnici. “Ma anche per questi, si procederà per tipi d’investimento, con iter semplificati”, spiega, uscendo da Palazzo Chigi, il sottosegretario leghista Massimo Bitonci. “In ogni caso, il rimborso massivo coprirà subito circa il 90 per cento dei 300 mila risparmiatori”, dice citando cifre che dai comitati vengono in realtà contestate. Ma non è neppure il merito della proposta, a indispettire gli oltranzisti del No. “Non possono chiederci oggi – s’infervora Arman – di esprimerci su qualcosa che in ogni caso domani verrà votata dal Cdm”.

    

E il paradosso sta proprio qui: nel fatto che gli unici a esprimersi decisamente contro la soluzione prospettata dal governo sono i due attivisti che per mesi sono stati coccolati e incoraggiati nella protesta dalla Lega e dal M5s. Ugone si vanta di “stalkerizzare” Salvini, Arman fu candidato da Luigi Di Maio nell’uninominale della sua Montebelluna, alle scorse politiche. “A febbraio c’eravamo entrambi a Vicenza, a sentirci promettere dai due vicepremier che non avrebbero ceduto di fronte ai veti dell’Ue. Ora invece si sono arresi”, protesta Arman. E Alessio Villarosa, il sottosegretario all’Economia che lanciava ultimatum a Tria? “C’era anche lui alla riunione, con Fraccaro, e non ha mai aperto bocca. Forse questa soluzione sta bene anche a lui”.

   

     

    

Di certo, sta bene a quasi tutte le associazioni dei “truffati”, che perlopiù predicano pragmatismo: “Non è quello che ci era stato promesso, ma è il massimo che si possa ottenere”, sostengono i rappresentanti di “Per Veneto Banca”. “Arman e Ugone? Se smettessero di dire solo No, perderebbero la loro ragione sociale”, liquidano quelli dell’Unione nazionale consumatori. Giovanna Mazzoni, 69enne azionista e obbligazionista di CariFerrara, s’affida al buon senso: “Meglio un uovo oggi che la gallina domani. Ritardare l’intesa sarebbe rischioso”, dice. Poi, accorgendosi che non la si riconosce, rilancia: “Io sono quella che ha contestato Renzi, eh”. Ah. “Suonavo sempre il campanello, quando protestavo. Lo volete vedere il campanello?”, chiede, per poi mettersi a suonarlo senza neppure attendere la risposta. In fondo la sua eccentricità è appena più sfacciata di quella di tanti suoi colleghi, che colgono l’occasione per scattarsi un selfie o fare una diretta Facebook. Il governo della democrazia diretta, quello che delibera per alzata di mano dei rappresentanti del popolo, è anche questo.

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