Luigi Di Maio, Giuseppe Conte e Matteo Salvini (foto LaPresse)

Perché il futuro, dopo sette mesi di governo CDS, è sempre più nero

Claudio Cerasa

Economia, lavoro, giustizia, sicurezza: Conte, Di Maio e Salvini non hanno portato benefici al paese e hanno contribuito anzi in modo clamoroso ad aggravare alcuni problemi esistenti

Come direbbero a Roma: ma chiaroscuro de che? Negli ultimi tempi, l’espressione “bilancio” è stata associata unicamente alle peripezie legate alla manovra populista, ma arrivati al giorno numero 220 del governo Conte l’espressione bilancio merita di essere associata anche a un altro concetto non meno importante che ogni osservatore con la testa sulle spalle non può più esimersi dal considerare: un bilancio sincero del governo populista.

 

Per farlo, senza perderci troppo nei dettagli, può essere utile concentrarci su sei punti che solitamente segnano come un metronomo il ritmo di ogni governo. E quei sei punti potrebbero essere questi: capacità di creare lavoro, capacità di far pesare l’Italia nel mondo, capacità di creare fiducia sui mercati internazionali, capacità di far crescere l’economia, capacità di dar vita a un paese più giusto, capacità di mettere un paese in sicurezza. A sette mesi dalla nascita del governo Conte, possiamo dire senza paura di essere smentiti che i risultati del governo populista non sono in chiaroscuro, come ha scritto venerdì scorso il giornale di riferimento della Casalino Associati, avete capito quale, ma l’Italia è un paese che ha raggiunto risultati piuttosto chiari e difficilmente contestabili.

 

“Un paese il cui governo risulta credibile solo nella misura in cui riesce a negare le sue promesse elettorali, fino a quando può essere sostenibile e in che misura potrà mai essere affidabile
e in base a quale principio potrà mai essere credibile? In soli sette mesi l’Italia è stata davvero rivoltata negativamente come un calzino, il segno meno è tornato a prevalere su tutti gli indici economici. Ma l’opposizione c’è, la resipiscenza è possibile” 

 

Grazie al governo populista l’Italia è un paese che non sa più creare lavoro, che non sa più come conquistare gli investitori, che ha più difficoltà di un tempo a piazzare il suo debito pubblico, che non ha vergogna ad alimentare gli spiriti razzisti, che non ha idea di come far crescere l’economia, che non sa come far sentire le imprese al sicuro, che non è mai stato così isolato sul piano internazionale, che non ha mai avuto una così alta propensione ad aggredire lo stato di diritto, che non ha mai giocato come oggi con il populismo penale, che non ha mai flirtato come oggi con la peggio feccia del sovranismo europeo e che oltretutto anche sui dossier dove sembra essere più forte, come l’immigrazione, rischia di creare, con leggi sulla sicurezza, una maggiore insicurezza a causa di un meccanismo letale destinato a far aumentare a dismisura il numero degli irregolari in Italia.

 

Ci si può girare attorno quanto si vuole, e far finta che gli impresentabili del populismo siano magnificamente presentabili, ma i primi sette mesi del governo Conte, Di Maio e Salvini – il governo il cui acronimo CDS coincide in modo inquietante con l’acronimo usato per denominare i Credit Default Swap, le polizze di assicurazione usate nei paesi caratterizzati da un grande rischio sistemico – non hanno portato benefici al paese e hanno contribuito anzi in modo clamoroso ad aggravare alcuni problemi esistenti in Italia.

 

L’Italia, grazie al governo populista, è un paese dove investire è diventato un rischio, dove assumere è diventato un rischio, dove far crescere i figli è diventato un rischio, dove mandare i bambini immunodepressi a scuola è diventato un rischio, dove tenere i soldi in banca è diventato un rischio, dove comprare titoli di stato è diventato un rischio, dove farsi assumere con partita Iva è diventata un’opportunità, dove essere in regola con il fisco è diventato da babbei, dove lavorare in nero è diventata una convenienza, dove non vaccinare i figli è diventata una possibilità, dove giocare con la xenofobia è diventato legittimo, dove aggredire la democrazia è diventato scontato, dove negare i diritti costituzionali è diventato plausibile e dove anche quando i problemi vengono inquadrati li si affronta in modo così maldestro da renderli più gravi di prima.

 

I populisti hanno ragione a dire che in Italia c’è un grave problema di disoccupazione ma quando offrono delle riforme che invece che agevolare le assunzioni a tempo indeterminato le rendono più difficili non stanno offrendo più diritti: li stanno togliendo. I populisti hanno ragione a dire che in Italia c’è un grave problema di corruzione ma quando offrono delle riforme che la corruzione la combattono solo alzando le pene e non aumentando le gare per fare gli appalti non stanno risolvendo i problemi della corruzione: li stanno aggravando. I populisti hanno ragione a dire che in Italia c’è un grave problema di crescita ma quando trasformano gli imprenditori in mucche da mungere non stanno aiutando i poveri ad avere più ricchezza distribuita: la stanno semplicemente distruggendo. I populisti, infine, hanno ragione a dire che in Italia c’è un grave problema di percezione di insicurezza ma quando poi costruiscono delle leggi che fanno aumentare gli irregolari piuttosto che farli diminuire non stanno risolvendo un problema: lo stanno semplicemente aggravando (piccolo esempio: in Toscana, su 8.500 richiedenti asilo attualmente accolti nel sistema di accoglienza si stima che saranno oltre 5.000 le persone che risulteranno prive di una qualche forma di riconoscimento per effetto diretto dell’abolizione della protezione umanitaria e in Piemonte, su 10.380 persone accolte nei centri di accoglienza, 5.000 risulterebbero prive di un titolo di soggiorno a seguito dell’abolizione della protezione umanitaria).

 

A sette mesi dalla nascita del governo Conte il dato più paradossale e più inquietante è che anche gli stessi ministri del governo hanno capito che la stabilità del governo dipende dalla capacità di non aggredire fino in fondo buona parte delle riforme che hanno promesso di aggredire in campagna elettorale. Ma un paese il cui governo risulta credibile solo nella misura in cui riesce a negare le sue promesse elettorali, fino a quando può essere sostenibile e in che misura potrà mai essere affidabile e in base a quale principio potrà mai essere credibile? In soli sette mesi l’Italia è stata davvero rivoltata negativamente come un calzino, il segno meno è tornato a prevalere su tutti gli indici economici, la fiducia dei consumatori è crollata a livelli non troppo distanti da quelli del 2012, se non fosse stato per il presidente della Repubblica la crisi finanziaria indotta dalle pazzie anti europeiste ci avrebbe riportato a un passo dal 2011 e per questo la domanda giusta da porsi oggi, per chi è in buona fede, non è tanto quanto potrà durare un governo del genere ma quanto ci vorrà per far sì che gli elettori capiscano che cosa diavolo hanno combinato il 4 marzo. L’opposizione c’è, la resipiscenza è possibile, ora non resta che trovare un modo per dare una voce a tutti gli elettori che osservando il governo dello sfascio più che vedere un presente in chiaroscuro vedono un futuro sempre più nero.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.