Matteo Renzi (foto Imagoeconomica)

Renzi e il ritorno a Itaca

Matteo Renzi

Come reagire alla “vuotanza”? L’ex premier ci spiega perché non si può aver paura di rimettersi in marcia

[Pubblichiamo la replica dell’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi alla lettera firmata da Umberto Contarello pubblicata dal Foglio mercoledì 2 gennaio].

 


 

Grazie, caro Umberto Contarello. Grazie del pensiero, grazie degli auguri, grazie anche del “caro” con cui inizi la tua lettera di ieri sul Foglio. Saper giocare con le parole non è da tutti. Utilizzarle per raccontare, emozionare, ispirare è un privilegio di pochi. E tu che hai questo talento ci fai un regalo condividendo i tuoi pensieri. Anche quando riesci a coniare espressioni come “vuotanza” neologismo per esplicitare il sentimento di tanti, in questi giorni carichi di inquietudine. Vero, verissimo: c'è tanta opposizione “acquattata nel silenzioso sentire delle persone per bene”. Anche perché scandalizzarsi per questo governo non va ancora di moda. Certo, un giorno ci ritroveremo a pensare quanto sia clamoroso che in Italia ci si scandalizzi solo se a ciò espressamente autorizzati dal pensiero unico. I costituzionalisti gridavano contro l’abolizione del Cnel ma nelle ore dello svuotamento del Parlamento erano – evidentemente – tutti a fare i regali di Natale. I sindacati che facevano sciopero generale contro tutte le nostre manovre espansive devono essere ancora in settimana bianca. I professori che manifestavano contro la Buona scuola oggi tacciono davanti ai tagli sull’alternanza scuola lavoro, sull’unità di missione dell’edilizia scolastica, sugli insegnanti di sostegno. In Italia sembra che scandalizzarsi sia consentito solo se va di moda. La protesta va bene solo se è à la page. Manca poco, però. Caro Umberto, manca poco alla fine dell’incantesimo.

 

Questo governo è un palloncino che sembra irraggiungibile ma può scoppiare all’improvviso. Tutta la loro maldestra arroganza, tutta la loro tracotante mediocrità non può reggere. Perché la realtà è implacabile, prima o poi ti presenta il conto. E già sono evidenti a occhio nudo le crepe dell’edificio gialloverde. Ma oggi nel tuo cuore, e non solo nel tuo, alberga la vuotanza. Manca la speranza, mancano leader in grado di incarnarla. Ed è vero: questa opposizione ha bisogno di politici che sappiano ritrovare la forza, il gusto di dire io. E io che faccio? Oggi dico io in modo diverso. Combatto una battaglia culturale, non solo con il documentario su Firenze ma con l'insistenza colpo su colpo nel complicato mondo dei social, nel dialogo con i ragazzi più giovani, nei discorsi in Parlamento. Dico io forte e chiaro ma gioco una partita diversa da quella che tanti si aspetterebbero. Non faccio falli di reazione contro chi mi ha scalciato da dietro. Finché la nostra priorità era cambiare l’Italia, le cose marciavano. Poi all’improvviso la sinistra ha cambiato obiettivo. I pensatori, i commentatori, i compagni di strada, i colleghi hanno deciso che cambiare il paese non fosse più la priorità, bisognava cambiare il carattere. Un carattere in particolare. Ok, forse quel leader aveva un caratteraccio. Ma pensando a cambiare carattere, stile, priorità ci siamo persi. E abbiamo perso. Succede, sono cose che capitano. Ora quella storia è storia. Cronaca, più probabilmente. Passato, comunque. Quando mi giro a guardarla, sempre più raramente, mi scappa un sorriso. Quante cose incredibili abbiamo fatto. Tutte cose che ci dicevano: “Questo non si può fare”.

 

E come bambini disobbedienti abbiamo toccato tutto quello che i grandi ci dicevano di non toccare, dalle banche popolari allo Statuto dei lavoratori, dalla parità di genere al merito nella scuola, dall’abbassamento delle tasse alla riforma del Titolo V. Abbiamo dato un scossa a questo paese. E lo abbiamo tolto dalla recessione in cui si trovava. Prima o poi ci verrà riconosciuto anche dai commentatori più implacabili. Ma la loro tardiva riconoscenza non ci appassionerà. Oggi tutte queste riforme, riuscite o fallite, sono ricordi. In politica la memoria è fondamentale, ma la nostalgia è inutile, forse persino dannosa. Oggi è tempo di scrivere una pagina nuova.

 

Davanti agli sciacalli e ai prestanome che guidano questo governo, la battaglia è culturale. Figurati se ho paura, Umberto. E certo non mi dimetto dall’Io. In questi anni ho sopportato il silenzio davanti a servitori dello stato che dicevano “Dammi le prove per arrivare a Renzi, devo arrestare Renzi”. Ho sopportato la calunnia sui bambini dell’Africa e sui voli di stato, sui regali di Natale e sui dati del Jobs Act. Ho sopportato i voltafaccia di chi per anni si stendeva adorante al mio passaggio e oggi finge di non avermi conosciuto e i tradimenti di chi ha ancora un presente in politica perché ho combattuto a mani nude per lui. Ti immagini se posso avere paura di mettermi in marcia?

 

Lo zaino è lì, sempre pronto, come ai tempi degli scout quando bastavano una bussola e una borraccia per renderci autonomi. Abbiamo tante storie “gonfie di fantasia” da raccontare e soprattutto da scrivere. Ma bisogna saper scegliere i tempi. La vuotanza serve soprattutto a questo, a capire i tempi giusti. La signoria del tempo sulla politica è implacabile. Tutto muta freneticamente, specie in queste ore. Quando arriverà il momento del viaggio, ci saremo. Però dobbiamo ancora chiarirci su un’ultima cosa: perché a me il “tuo” Kavafis – quello della Città – non piace granché. Non mi piace l’immagine del nostro cuore “come un morto sta sepolto”. Il “mio” Kavafis è quello di Itaca “Se per Itaca volgi il tuo viaggio,
 fai voti che ti sia lunga la via,
 e colma di vicende e conoscenze. 
Non temere i Lestrigoni e i Ciclopi 
o Poseidone incollerito: mai
 troverai tali mostri sulla via, 
se resta il tuo pensiero alto e squisita
 è l’emozione che ci tocca il cuore
 e il corpo. Né Lestrigoni o Ciclopi 
né Poseidone asprigno incontrerai, 
se non li rechi dentro, nel tuo cuore,
 se non li drizza il cuore innanzi a te. Fai voti che ti sia lunga la via.
 E siano tanti i mattini d’estate
 che ti vedano entrare (e con che gioia 
allegra) in porti sconosciuti prima. Fa scalo negli empori dei Fenici 
per acquistare bella mercanzia, 
madreperle e coralli, ebano e ambre, 
tutta merce fina, anche profumi penetranti d’ogni sorta; più profumi inebrianti che puoi, va’ in molte città egizie, impara una quantità di cose dai dotti. Sempre devi avere in mente Itaca. 
La tua sorte ti segna a quell’approdo.
 Ma non precipitare il tuo viaggio”.

 

Non possiamo precipitare il nostro viaggio, amico mio. Abbiamo tempo, entusiasmo, libertà. Abbiamo sogni e sappiamo come realizzarli. Abbiamo gambe e testa. Abbiamo voglia e un desiderio profondo di fare dell’Italia un giardino di opportunità anziché una gabbia di paure. Lo abbiamo iniziato a fare, continueremo a farlo. E lo faremo ancora meglio, facendo tesoro dei nostri errori.

Ma oggi precipitare il nostro viaggio significherebbe soltanto non partire proprio. E noi vogliamo partire, per arrivare. Per ritornare. Come a Itaca.

Buon 2019, caro Umberto.

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