Gregorio De Falco e Paola Nugnes (foto LaPresse)

Le purghe di Capodanno nel M5s

Enrico Cicchetti

Quattro espulsioni e un richiamo. La scure del M5s si abbatte sui suoi eletti dissidenti, soprattutto al Senato. E De Falco si accorge che nel partito “non c'è spazio per la democrazia”

“Nel Movimento 5 Stelle è in atto una deriva illiberale. Non c'è spazio per la democrazia”, dice. Ma va? La prima espulsione risale addirittura al 2012, quando a Ferrara fu allontanato il consigliere Valentino Tavolazzi, reo di aver partecipato a un meeting in cui si auspicava più trasparenza interna. Quando è salito sul carro pentastellato, il comandante Gregorio De Falco non conosceva forse le regole del gioco? Entrarci significa sottoscrivere quell'atto di fede, appoggiare quel concentrato di contraddizioni e di pernacchie al diritto, che è il non statuto del Movimento. Il “patto di sangue” di un partito che ha sempre espulso o emarginato i dissidenti interni. E che il 31 dicembre, con gli italiani distratti dai bagordi e dai preparativi del Capodanno, abbottati e sonnecchianti, ha deciso di riesumare l'ascia sepolta da un po' e di iniziare una potatura invernale: i colpi piombano soprattutto su Palazzo Madama. Insieme a quella di De Falco, salta la testa del senatore Saverio De Bonis, mentre il loro collega Lello Ciampolillo viene, per ora, solo “richiamato” all'ordine. Mentre sulle senatrici Elena Fattori e Paola Nugnes, pendono ancora i procedimenti disciplinari. Espulsi invece gli europarlamentari Giulia Moi e Marco Valli.

      

Il Collegio dei probiviri, come si legge in un post sul Blog delle stelle, sceglie così di mandare un segnale ai suoi, eliminando qualche ramo infettato da “comportamenti contrari alle norme dello Statuto e del Codice etico”. “Qualcuno crede che per il solo fatto di essere senatore allora sia indispensabile per il Governo e per questo possa trasgredire le regole che ha firmato. Non è così. Noi siamo gente seria che rispetta gli impegni presi con i cittadini. E se ci sono altri senatori o deputati che non intendono più sostenere il contratto di Governo, per quanto mi riguarda sono fuori dal MoVimento, anche a costo di andarcene tutti a casa”, scrive poi Di Maio in un post su Facebook.

   

 

“Nessuno di noi in Senato aveva alcuna cognizione sul contenuto della manovra e dunque non potevo che astenermi”, si è giustificato l'ex ufficiale della Marina, la cui colpa apparentemente è il voto contrario al Dl sicurezza (sul quale De Bonis si era invece astenuto) e l'astensione al voto di fiducia sulla Manovra. De Bonis è stato cacciato anche per violazione dell’articolo 6 del Codice etico, perché avrebbe nascosto una condanna in appello della Corte dei conti – dunque contabile e non penale, come prevederebbe il Codice etico, ma tant'è – e per due reati prescritti. Per il M5s però non c'è differenza tra condanna e prescrizione e il senatore non avrebbe potuto candidarsi.

 

A proposito di rami infetti però, su De Bonis pesa anche l'apparente cambio di strategia dei grillini sulla Xylella: il pentastellato aveva appoggiato Ciampolillo (segnalato lunedì dai probiviri) che, novello Barone Rampante, aveva eletto a residenza parlamentare un terreno nel Brindisino dove sorge un ulivo malato. Per il senatore l'abbattimento è un complotto della “politica dei poteri forti che sta distruggendo l’ambiente”. A luglio un gruppo di senatori (compresa l'“osservata speciale” Nugnes) aveva depositato una mozione sulla Xylella per chiedere lo stop degli abbattimenti. Ma proprio il M5s locale voleva invece procedere per evitare la diffusione della malattia. E a rafforzare questa ipotesi, c’è anche il precedente di Sabrina Anselmo, sindaca grillina di Anguillara, che pur avendo nascosto una condanna, non è mai stata espulsa.

 

Marco Valli si era già autosospeso per la vicenda, scoperchiata dal Sole 24 Ore, della falsa laurea alla Bocconi inserita nel curriculum. Anche la sarda Giulia Moi si era autosospesa perché accusata di “molestie psicologiche” nei confronti di suoi collaboratori all'Europarlamento. Il malumore del M5s verso di lei risaliva però alla questione della liberatoria non firmata sul trattamento dei dati personali chiesta agli eletti per poter controllare i versamenti dei rimborsi. "Ho assistito con sconcerto e grande delusione, personale prima che politica, a casi ben più gravi che riguardavano altri eletti per i quali non c'è stato alcun provvedimento da parte dei vertici”, ha spiegato.

 

Ma al di là dei casi singoli, nella vicenda delle espulsioni di Capodanno ci sono due cose notevoli e riguardano la decisione strategica di colpire – ma non troppo – il Senato, dove il M5s rappresenta ancora il primo gruppo parlamentare per numero. Con le espulsioni di lunedì, il gruppo pentastellato passa da 109 a 107 senatori: una cifra, che sommata ai 58 della Lega, è ancora sopra “soglia di sicurezza” di 161 senatori che assicura la maggioranza assoluta. Tuttavia si restringe la maggioranza gialloverde, che scende a 165 senatori. Se i procedimenti pendenti su Fattori e Nugnes dovessero trasformarsi in espulsioni, il gruppo scenderebbe a 105 e la maggioranza di governo a 163 parlamentari. Una cifra che permette già meno tranquillità, se si tiene conto delle assenze fisiologiche durante le votazioni e degli impegni di governo dei vari senatori. Lo scorso 13 dicembre, per fare un esempio, il ddl Anticorruzione è passato con 162 voti. 

 

Il secondo punto interessante è che espellere due “esterni” del M5s invece di due personaggi storici del partito – sebbene aperti dissidenti – come Fattori (che sfidò a sorpresa Di Maio per diventare il candidato grillino alla presidenza del Consiglio) e Nugnes (in “quota Fico”) è una mossa utile sia a dividere il dissenso sia a ricompattare le fila di quella “testuggine” che già prima del voto, Di Maio vedeva “sotto attacco”. E va in questa direzione anche l'archiviazione dei procedimenti disciplinari contro Matteo Mantero e Virginia La Mura. Dei sei eletti deferiti per non aver votato il decreto Sicurezza, insomma, due vengono puniti, due graziati e altri due restano sulla graticola, in attesa che i probiviri Fraccaro, Catalfo e Berti decidano della loro sorte.