I deputati del Movimento 5 stelle Saverio De Bonis e Luciano Cillis

De Bonis e la doppia morale grillina

Luciano Capone

Un senatore condannato (e prescritto) vìola il Codice etico del M5s. Ops!

Roma. “Non aspetteremo i tempi della giustizia”, è la formula più utilizzata dal governo nei suoi primi 100 giorni. L’ha pronunciata il presidente del Consiglio Giuseppe Conte dopo il crollo del ponte Morandi a Genova. L’ha usata il vicepremier Luigi Di Maio parlando di eventuali “frodi” di ragazzi che, pur percependo l’ipotetico reddito di cittadinanza, venissero beccati a lavorare in nero. C’è però un caso in cui la giustizia ha fatto il suo corso, come si suol dire, e il M5s è ancora in attesa.

 

È quello del senatore grillino Saverio De Bonis, condannato dalla Corte dei conti (ora anche in appello) a un risarcimento di circa 2.800 euro più la rivalutazione, gli interessi e le spese legali, per essersi intascato fondi pubblici frodando la regione Basilicata. Il senatore De Bonis aveva partecipato a un bando per far ottenere contributi regionali alla sua azienda agricola. Nella domanda di presentazione del progetto aveva dichiarato di essere un “giovane imprenditore”, cioè di essersi insediato da meno di cinque anni, in modo da poter ottenere punteggi e contributi superiori. Il problema, però, è che da una visura la sua azienda era risultata attiva da otto anni. Si trattava di una falsa dichiarazione e per questo è stato condannato per danno erariale.

 

Del senatore eletto in Basilicata e scelto personalmente da Luigi Di Maio tra i “supercompetenti” candidati all’uninominale se n’era occupata anche la giustizia penale. De Bonis era accusato di falso ideologico in atto pubblico e rinviato a giudizio per truffa in quanto “attraverso artifici e raggiri si avvantaggiava del 6 per cento in più del punteggio e del 5 per cento in più del contributo complessivo e induceva in errore il funzionario responsabile”. Sul versante penale la vicenda processuale si è conclusa con due sentenze di prescrizione del tribunale di Potenza, che rendono De Bonis immacolato di fronte alla giustizia italiana ma sporco rispetto a quella grillina, che equipara la prescrizione alla condanna. 

 

Secondo l’articolo 2 del Codice etico del M5s gli eletti sotto il simbolo del M5s sono obbligati a “mantenere comportamenti eticamente ineccepibili, anche a prescindere dalla rilevanza penale degli stessi”. E non c’è dubbio che la condotta di De Bonis, che ha dichiarato una cosa falsa per intascare dei soldi pubblici, sia in contrasto con questa regola. Ma è soprattutto l’articolo 6 del Codice etico che rende incompatibile la permanenza di De Bonis nel M5S: “Costituisce condotta grave e incompatibile con la candidatura e il mantenimento di una carica elettiva quale portavoce del M5s la condanna, anche solo in primo grado, – c’è scritto – e a tal fine sono equiparate alla sentenza di condanna la sentenza di patteggiamento, il decreto penale e l’estinzione del reato per prescrizione”.

 

In pratica il parlamentare lucano, ora che da pochi giorni è pubblica la condanna della Corte dei conti, dovrebbe essere immediatamente espulso. In realtà, De Bonis doveva essere già allontanato prima, o meglio, non doveva essere neppure candidato visto che, prima di questa di appello, c’era già stata una condanna della Corte dei conti per la Basilicata del dicembre 2015. E prima ancora le due sentenze di prescrizione del Tribunale di Potenza del 2012 e del 2015. Ma, evidentemente, tutte erano sfuggite allo screening di Luigi Di Maio che personalmente ha selezionato i “supercompetenti” candidati all’uninominale che, diceva, rappresentano “il meglio dell’Italia”.

 

E il problema non sono neppure le prescrizioni e le condanne, di cui probabilmente Di Maio non era a conoscenza, ma la preparazione e le competenze di questo soggetto eletto in Senato, che sono proprio le cose che il vicepremier ha valutato. De Bonis infatti si è avvicinato al M5s dopo aver commissionato una “inchiesta” sull’importazione di “grano contaminato” a Gianni Lannes, un blogger autore di libri come: “Scie chimiche: la guerra che avvelena la nostra vita e il pianeta”, “Vaccini: dominio assoluto”, “Vaccini: cavie civili e militari”. Le “indagini” di De Bonis e del blogger complottista sono finite al centro di un convegno del M5s e di una conferenza stampa in Parlamento, poi i due hanno litigato perché Lannes ha accusato De Bonis di aver manipolato la sua “inchiesta” e di non volerlo pagare.

 

Grazie a questa operazione mediatica piena di allarmismo e disinformazione sulla pasta italiana, De Bonis ha ottenuto la candidatura. E una volta eletto, in Parlamento si è distinto per essere il primo firmatario della richiesta di istituzione di una “Commissione parlamentare di inchiesta sulla Xylella”, che dovrebbe indagare su tutte le piste antiscientifiche e complottiste emerse negli ultimi anni: che il batterio non sia, come dicono tutte le autorità scientifiche, la causa del disseccamento degli ulivi (“Xylella non necessariamente è da considerare responsabile del fenomeno”); che l’epidemia possa essere colpa delle multinazionali (“Le sperimentazioni cui sono collegate le società Monsanto e Basf”); che ci siano responsabilità degli scienziati e persino una “connessione affaristica tra l’estirpazione degli ulivi ... e la realizzazione del gasdotto Tap”.

 

Insomma, una commissione di inchiesta cospirazionista basata sull’idea di sostituire la politica alla scienza, gli eletti dal popolo ai ricercatori. De Bonis ha il pedigree intellettuale del perfetto grillino, ma purtroppo causa condanne e prescrizioni non è in linea con il Codice etico. Potrà Davide Casaleggio fare a meno di 300 euro al mese per Rousseau e Luigi Di Maio rinunciare a una delle più brillanti intelligenze del partito?

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali