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Uno scandalo senza vaffa

Giuseppe De Filippi

Il caso della Banca Romana non coinvolse la politica rappresentativa. Un libro che parla anche al presente

Facciamo subito una forzatura storica e proviamo a guardare e interpretare con occhi di oggi le vicende della Banca Romana negli ultimi due decenni dell’800. Andremmo subito alla ricerca della ricezione nella società di quella frana politica e giudiziaria, immaginando girotondi o fiaccolate o, tanto per restare nell’incongruità temporale sia per l’oggi sia per l’epoca dei fatti, popoli dei fax, oppure grillismi e relative o-ne-stà, o-ne-stà. E invece troviamo tutt’altro. Troviamo una vicenda che “nasce in Parlamento e finisce in Parlamento”, come ci spiega Clotilde Bertoni, teorica della letteratura e autrice di “Romanzo di uno scandalo” (il Mulino, 2018) e che poi, fuori da Montecitorio, viene rivissuta, raccontata, trasformata in modello negativo, attraverso opere letterarie, e lì, ci dice Bertoni, “troviamo dette in modo più sintetico cose simili a quelle che oggi sono nell’armamentario grillino”, ma quasi esaurendo oppure lasciando sfogare, in quei racconti e romanzi, la sua carica di protesta, di mugugno, di trasformazione degli orientamenti politici. “La credibilità generale delle istituzioni ne viene scalfita, certo, ma la politica parlamentare può mostrare tante facce, sia quelle, in maggioranza, di coloro che oggi chiameremmo insabbiatori, con diverse sfumature tra chi copriva evidentemente alcune magagne e chi invece cercava di comportarsi quasi da statista, sia quelle di chi invece denunciava, criticava aspramente, usava il suo ruolo per far emergere una evidente vicenda di malaffare”.

 

La vicenda “nasce in Parlamento e finisce in Parlamento”, spiega Clotilde Bertoni. Poi è rivissuta attraverso le opere letterarie

La politica non ha ceduto nemmeno a Tangentopoli, ma alla successiva, e autonoma, campagna anti casta

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E’ stata quasi una sorpresa, una rivelazione storica inattesa per la stessa autrice, quella che ha messo Bertoni di fronte non solo, si direbbe banalmente, ai guasti della politica parlamentare, “ma anche alle sue risorse, alle peculiarità dell’assemblea”. Ci viene descritta, appunto con sorpresa, la forza residuale ma potente della politica rappresentativa, anche nella temperie di passaggi difficilissimi, sotto al dileggio giornalistico e con l’azione di forze disgreganti interne, tra conservatori reazionari non particolarmente legati all’istituzione parlamentare e sinistra quasi rivoluzionaria nemica del Parlamento visto come istanza della borghesia. Un fenomeno, quello dell’antiparlamentarismo, non solo italiano, ci dice Bertoni, anzi, fu la Francia ad anticiparci, con le conseguenze dello scandalo degli investimenti per Panama, l’impresa fallimentare guidata da Ferdinand de Lesseps, già ideatore del Canale di Suez, episodio finito poi al centro di una lunga serie di intrecci romanzeschi. Alle prime avvisaglie della rivelazione di fatti riguardanti un caso di malaffare precedente all’inchiesta sulla Banca Romana, come si legge nella ricostruzione di Bertoni, un giornale scriveva che “se Parigi ha il suo Panama, Roma potrebbe avere il suo Panamino”. I fatti riguardavano un primo assaggio di polemiche con le vicende poco commendevoli della Regìa dei tabacchi e, tanto per gettare un capo del filo alla nostra attualità, gli scontri politici sull’attribuzione di quella concessione per 20 anni a condizioni che vennero ritenute particolarmente vantaggiose e perciò furono oggetto di forti attacchi parlamentari. E perfino in Inghilterra fiorì una produzione letteraria che diventò un genere autonomo, quello del romanzo parlamentare, coi suoi cliché e il suo ripetitivo moralismo e anche spunti di qualità e certamente successo di pubblico.

 

Cliché abbondanti anche nella produzione nostrana. Il nostro romanzo parlamentare, privo, tranne poche ma rilevantissime eccezioni, di esiti letterariamente interessanti, ci dice Bertoni, “era quasi sempre costruito sull’espediente narrativo del giovane deputato, neoeletto, di origine provinciale, carico di ideali e di progetti, e poi inevitabilmente corrotto dal contatto con la capitale e con le sue tentazioni e i suoi intrighi e così trasformato in traffichino, pronto a offrire il suo sostegno politico alle mutevoli maggioranze, slegandolo completamente dagli orientamenti politici originari”. Insomma c’era la ricorrente critica al trasformismo (senza vederne però l’utilità storica, almeno nel primo trasformismo, come strumento per assicurare quelle che oggi chiameremmo governabilità ed esclusione degli estremismi) e c’era una velata forma di antipolitica, ma senza mai contrapporre alle abiezioni del potere una presunta purezza della società civile, come diremmo oggi. Per essere più chiari: a corrompere il giovane parlamentare di prima nomina erano solo occasionalmente la vita pubblica e l’attività politica, ma, in altri ambiti, problemi simili si sarebbero ugualmente manifestati. Quindi non c’è la proposta di un modello alternativo, non c’è l’attacco alla politica rappresentativa come lo abbiamo sperimentato nei nostri anni, ma una forma non originale di antropologia negativa, ridotta alle pochezze della sentenziosità proverbiale. Seguendo poi forse anche gli sviluppi delle tendenze politiche nazionali i racconti con al centro lo scandalo bancario romano hanno una prima fioritura, a fatti pressoché ancora in corso, come leggiamo nella documentatissima analisi di Bertoni, nel mondo della pubblicistica che potremmo definire di sinistra. “Alcuni – scrive Bertoni – sono interessanti, come ‘L’onorevole Paolo Leonforte’ di Enrico Castelnuovo, altri mediocrissimi, come ‘La terza Roma’di Cesare Castelli, ma tutti funzionalizzano i fatti a una deplorazione ormai scontata del malcostume politico. Anche il grande giornalista Achille Bizzoni, primo a raccontare la vicenda più in dettaglio con ‘L’onorevole’, la risucchia in una serie di topoi inflazionati; e il politico scrittore Ettore Socci, che l’ha seguita da vicino come deputato della Sinistra Estrema, la echeggia nell’‘Assalto di Montecitorio’ solo per farne un ulteriore tassello di un quadro asprissimo della democrazia parlamentare”.

 

Più o meno negli stessi anni c’è anche il contributo di un asso come Émile Zola, venuto a Roma per scrivere qualcosa di soggetto vaticano o comunque curiale, e poi trovatosi ad appassionarsi alle vicende bancarie e ai disastrosi investimenti immobiliari ad esse legati. “Non si può dire che Zola capì proprio bene e a fondo le dinamiche politiche italiane”, ci dice Bertoni (usando espressioni più gentili di Ennio Flaiano che liquidò Zola e il suo romanzo con un “venne a Roma e non ne capì nulla”), “ma riuscì comunque a cogliere qualche aspetto sociale di una certa vividezza e soprattutto a cogliere l’importanza dello scandalo e a centrare in pieno il legame originariamente distruttivo tra la crisi della banca e gli investimenti fallimentari nell’edilizia”. Con il volgere di qualche anno il racconto dello scandalo viene fatto proprio invece da scrittori di destra se non espressamente reazionari. Sono opere che, tra l’altro, come afferma Bertoni, “manomettono clamorosamente la sostanza della vicenda, come ‘La guerra lontana’ di Enrico Corradini, ‘I seminatori’ di Giulio Bechi, usciti a ridosso della Grande guerra, opere nelle quali si invoca un irrigidimento autoritario, e si presentano come soli baluardi contro la corruzione parlamentare personaggi di uomini forti ispirati a Francesco Crispi che in realtà era stato uno dei principali corrotti”. “E’ un passaggio – ci dice Bertoni – di quella leggenda eroica su Crispi che, appunto, malgrado il suo evidente coinvolgimento nello scandalo, lo trasformò in un personaggio da inserire nel Pantheon nazionale del nuovo autoritarismo”.

 

Una velata forma di antipolitica. Però non si contrapponeva alle abiezioni del potere una presunta purezza della società civile

Una prima fioritura letteraria a fatti pressoché ancora in corso. A Roma arriva anche Émile Zola, che si appassiona alla vicenda

Ma, forse con l’esclusione di queste ultime opere, che, come si è detto, partivano da un travisamento radicale dei fatti avvenuti, nella gran parte degli altri racconti e romanzi, e torniamo al senso di sorpresa positiva provato da Bertoni, “c’era la doppia azione dello scandalo come soggetto letterario, qualcosa che complica le cose, perché parla sì di fatti gravi e censurabili ma anche di riscatto del Parlamento, o almeno mostra la complessità della questione e la complessità è il punto di partenza per salvare le cose”. Lo si vede bene in due opere di inizio ’900. Si tratta, come scrive Bertoni, di “Le ostriche”di Carlo Del Balzo “(un altro politico scrittore, epigono di Zola, deputato della Sinistra Estrema negli anni successivi allo scandalo) e ‘I corsari della breccia’di Filandro Colacito (giornalista dei più opportunisti, ma sinceramente attaccato agli ideali garibaldini). Veri e propri romanzi a chiave, che piegano la realtà a persuasioni e passioni spesso assai faziose (il secondo, come è tipico di molta non fiction dei giorni nostri, passa spesso dalla finzione alla falsità, deformando gli eventi in funzione delle proprie tesi e antipatie); ma che, ripercorrendo da vicino le tante sfaccettature della storia, ne sono indotti a rinnovare il quadro ormai standardizzato della politica parlamentare: se a livello esplicito seguitano a condannarla, in forme implicite ne mostrano la resistente vitalità”. E, sorpresa delle sorprese, per Bertoni anche nel certamente antidemocratico Luigi Pirandello “e nel suo romanzo politico ‘I vecchi e i giovani’ si riesce a trovare una smagliatura nel pessimismo: attraverso la figura di un deputato visibilmente ispirata a quella di Napoleone Colajanni, Pirandello finisce per mostrare, magari anche contro le proprie intenzioni, le potenzialità sussistenti della politica, la preoccupazione appassionata per la collettività di alcuni suoi esponenti; il richiamo della storia recentissima, la varietà dei suoi aspetti. Elementi che spingono l’autore a rompere l’ormai rigida coerenza del suo universo creativo, ad arricchirlo di nuovi, conflittuali significati”.

 

E poi si arriva pressoché ai giorni nostri. Due opere di fiction hanno al centro le vicende della banca, una negli anni 70 e una recentissima, del 2010, con titolo didascalico e un ottimo cast. A saltare, però, nelle opere di questi anni è proprio quella complessità cui accennavamo poco fa, che aveva messo in trappola, costringendolo a qualche barlume di speranza, perfino il pessimismo pirandelliano. “Le fiction recenti – ci dice Bertoni – “eliminano il senso di vicenda ambivalente e insistono molto sul marciume delle istituzioni, cui oppongono figure inventate, mai apparse nei fatti accertati, di personaggi eroici. E così buttano via la parte positiva della vicenda storica, cioè il ruolo dell’opposizione parlamentare che pure ci fu e che fece emergere, al posto della magistratura, l’enorme guaio della banca. Tutta quella parte viene omessa per dare invece risalto all’eroismo individuale, perfino un po’ gaglioffo, di personaggi risolutori”. Ci si trova, insomma, di fronte agli effetti dell’apparente dissoluzione di grandi orizzonti politici e quindi soli. Soli con i nostri eroi, magari con la faccia di Beppe Fiorello.

 

Anche l’epopea di Tangentopoli e di Mani pulite ha prodotto fiction, nel senso ampio sia di testo scritto sia di film o serie, e ha inevitabilmente riproposto il modello del giovane idealista che poi viene corrotto, ma non ha prodotto antipolitica. Gli anni Novanta e tutto il primo decennio dei Duemila hanno visto un sufficiente tasso di stabilità, mentre la partecipazione dei cittadini alla vita politica calava ma non crollava (allineandosi alle esperienze di altri paesi democratici e quindi senza scossoni tipicamente italiani), e hanno consentito alternanza di governo e il mantenimento, sia pure tra qualche divergenza, di un orientamento comune e condiviso filo-europeo. Forse il parallelo che dovremmo fare con le vicende di fine ’800 è proprio dove non lo si aspetta, cioè nella capacità del Parlamento e quindi della democrazia rappresentativa di reggere, con le sue forze interne, agli urti degli scandali e agli schizzi di fango della corruzione e di reggere anche a choc come quello che determinò i guai della Romana, cioè il sostegno indiscriminato da parte di Tanlongo alle costruzioni nella Roma diventata capitale e al successivo, quasi immediato, scoppio della bolla speculativa con crac a catena (i romanzi dell’epoca, come racconta Bertoni, indulgono, con assoluta precisione cronachistica, in rappresentazioni spietate delle strade piene di case invendute nel neonato quartiere Prati di Roma e sono proprio i palazzi costruiti con i soldi elargiti allegramente dalla banca di Tanlongo). La politica, invece, ha ceduto ma non a Tangentopoli (tentativo fallito di abbattimento delle istituzioni, in quel caso, si direbbe) bensì alla successiva, e autonoma, campagna anti casta. Tangentopoli, corruttela varia, inghippi a volontà, possono essere rivelati, ma non riescono a diventare il grimaldello per smontare la politica. Antonio Di Pietro può fare il suo partito (e non a caso ricevere le attenzioni di un Gianroberto Casaleggio in cerca di interpreti per i suoi progetti rousseauiani e fondamentalmente autoritari di trasformazione dei modelli rappresentativi) ma con il solo arsenale dello sceriffo anti corruzione non supera percentuali da piccolissimo partito e poi sparisce. Serve qualcos’altro per arrivare ai grandi numeri, serve il Vaffa, l’anti casta elevato a progetto, l’opposizione radicale non a un tipo di politica ma alla politica in generale (un’opposizione la cui storia non ha a che fare con quella del parlamentarismo, viene da più lontano e ha percorsi diversi). Qualcosa di simile, e la tentazione del parallelismo è forte, succede anche negli sviluppi storici successivi alle vicende della Banca Romana. Il Parlamento, le istituzioni, resistono a tutto, finché la partita è dentro alle loro regole e, senza abusare della parola e rischiando la tautologia, finché la partita è politica. Poi cambia tutto con l’arrivo di due fenomeni, tra loro certamente connessi: la prima grande globalizzazione, con incremento dei commerci e cambiamento dell’organizzazione del lavoro e della distribuzione della ricchezza, e la prima ondata del nazionalismo. E con le analogie, a questo punto, è il caso di fermarsi.

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