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La giustizia farlocca del M5s, i probiviri e i reietti tenuti nel freezer

Valerio Valentini

Il caso di Antonio Tasso, espulso dal Movimento e mai reintegrato nonostante la lettera firmata dal Comitato dei garanti che ne sanciva la riammissione. "Decide Di Maio, o qualcuno degli yes man che ha intorno", ci dice Andrea Cecconi

Roma. Aveva organizzato pure la conferenza stampa. “Mi reintegrano nel Movimento”, esultava sul finire dell’estate Antonio Tasso, il deputato pugliese del M5s espulso per volere di Luigi Di Maio a causa di una condanna in primo grado del 2007, finita poi in prescrizione, per violazione di diritto d’autore dovuta alla vendita di alcuni cd contraffatti. “Ho fatto ricorso ed è stato accolto”, confermava al Foglio, lo stesso Tasso, l’11 settembre scorso. Quattro giorni dopo, si sarebbe dovuto svolgere l’incontro coi giornalisti per annunciare il lieto rientro. Del resto, aveva già in tasca la lettera firmata dal Comitato dei garanti, l’organo di ultima istanza della giustizia interna al Movimento. Aveva perfino parlato col capogruppo alla Camera, Francesco D’Uva, che lo aveva rassicurato: “Ora parliamo col presidente Fico e gli comunichiamo il tuo passaggio nella nostra pattuglia”. Era, a quanto racconta chi ha assistito al colloquio, un lunedì: la conferenza stampa era programmata per il sabato seguente. E invece niente: due giorni dopo, in Transatlantico, con la faccia contrita lo stesso D’Uva si ritrovò a dirgli che qualcosa doveva essere andato storto, che “Luigi” forse non aveva gradito le sue dichiarazioni ai giornali, che insomma non era il momento.

 

Né sarebbe più tornato, quel momento, se è vero che Tasso resta ancora seduto tra i banchi del Gruppo Misto, nella schiera dei reietti: e questo nonostante risulti ancora responsabile della comunicazione del M5s della sua natia Manfredonia, nonostante il MeetUp locale si riunisca in un immobile di sua proprietà, nonostante sia stato lui a organizzare, a fine ottobre, col patrocinio del M5s, un incontro con Sergio Bramini, consulente di Di Maio al Mise. La lettera che sancisce la sua riammissione la conserva ancora, Tasso. “Ed è, quel documento, la prova provata di come nel M5s le procedure formali non contino nulla”, dice Andrea Cecconi, altro grillino espulso lo scorso febbraio – per via delle mancate restituzioni – ma comunque rieletto, e confluito anche lui nel Misto. “A che serve fare ricorso? Decide Luigi, o qualcuno degli yes man che ha intorno, e stop”, insiste.

 

“Chiedete a Vito Crimi”, rispondono, sfuggenti, i deputati del M5s quando gli si chiede conto del congelamento della procedura di reintegro di Tasso. E’ proprio il sottosegretario con delega all’editoria – che, più volte contattato dal Foglio, non ha voluto rispondere – l’unico parlamentare a capo del comitato dei garanti, insieme al consigliere siciliano Giancarlo Cancelleri e alla laziale Roberta Lombardi. E non a caso viene tirato in ballo, Crimi, anche in merito a un’altra questione di espulsione bloccata: quella di Marco Valli, eurodeputato lombardo, fustigatore a tempo perso di Mario Draghi e millantatore di titoli di studio. Si è autosospeso a metà novembre, dopo che fu accertato che la laurea che vantava nel curriculum in realtà non l’aveva mai conseguita. E ora? “I probiviri hanno tre mesi per pronunciarsi”, dicono nel M5s. E dopo i probiviri – il ministro Riccardo Fraccaro, la senatrice Nunzia Catalfo e il consigliere veneto Jacopo Berti – si dovrà esprimere, di nuovo, il comitato dei garanti. Di cui fa parte, appunto, Crimi, amico fidato e per lungo tempo protettore dello stesso Valli.

 

“Non conosco la vicenda, ma è chiaro che queste procedure, coi probiviri che sono essi stessi eletti del M5s e sono nominati direttamente da Di Maio, si presta a conflitti d’interesse”, spiegava qualche giorno fa, in Senato, Elena Fattori. E accanto a lei stava anche Paola Nugnes. Parlavano, entrambe, da “dissidenti riluttanti”, nel senso che non accettavano di sentirsi chiamate così. “Noi siamo semmai ciò che resta del M5s originario”, sorrideva la Nugnes. Entrambe, comunque, sono state deferite ai probiviri – insieme a Gregorio De Falco, Virginia La Mura e Matteo Mantero – per non avere votato il decreto sicurezza di Matteo Salvini. “Andarcene? E perché dovremmo? Ci caccino, semmai”, dicevano. Convinte, comunque, che sulla decisione che verrà, le supposte regole interne conteranno ben poco.

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