Matteo Salvini a Porta a Porta (foto LaPresse)

I due buchi neri del sovranismo italiano

Claudio Cerasa

Non solo l’economia. Il prossimo bagno di realtà del governo sarà l’immigrazione. Clandestini, rimpatri, alleati, incapacità di trasformare i migranti in un affare per l’Italia. Perché l’agenda sovranista è destinata a peggiorare i problemi del paese

I dati negativi presentati ieri dall’Istat sulla produzione industriale italiana – che a luglio ha perso l’1,8 per cento rispetto a giugno, contro una media europea in calo dello 0,7 per cento, peggior risultato ottenuto dal nostro paese dal giugno del 2016 – ci ricordano ancora una volta che la Bannon & Associati potrebbe presto maledire il giorno in cui ha scelto di trasformare il nostro paese nel laboratorio in cui sperimentare il modello del sovranismo europeo. Per tutti coloro che sognano romanticamente di esportare in Europa il modello Salvini-Di Maio avere un’economia in difficoltà rischia di non essere il miglior biglietto da visita per imporre fuori dall’Italia il sovranismo all’amatriciana. Un sovranismo che non riesce a far girare l’economia, come è evidente, è destinato a diventare una barzelletta continentale.

     

Ma se ci si riflette per un istante c’è un altro pericolo che si indovina all’orizzonte per il governo del cambiamento che coincide con un rischio da ignorare: la possibilità concreta che la strategia scelta da Salvini sul dossier dei migranti aggravi i problemi dell’Italia piuttosto che risolverli. Nei prossimi giorni il ministro dell’Interno darà spettacolo con il suo decreto sull’immigrazione. Ma per quanto il leader della Lega possa giocare con i fuochi d’artificio alla fine sarà costretto a fare i conti con la realtà. E la realtà oggi ci dice che i problemi più gravi legati alla gestione dell’immigrazione rischiano di non essere risolti proprio grazie alla linea Salvini.

 

Problema numero uno: i ricollocamenti. Salvini e Di Maio hanno raccolto in campagna elettorale molti voti sostenendo la tesi non del tutto sbagliata che negli ultimi anni l’Europa non ha fatto quello che avrebbe dovuto per ricollocare i profughi e i richiedenti asilo arrivati in Italia, ma per invertire questo trend servirebbero due strategie che Salvini e Di Maio non intendono portare avanti: costruire alleanze per riformare il Trattato di Dublino e lavorare per rafforzare il sistema dei ricollocamenti. Gli alleati scelti in Europa da Salvini e Di Maio sfortunatamente non hanno però alcuna intenzione di cambiare il Trattato di Dublino e non hanno alcuna intenzione di rafforzare il sistema dei ricollocamenti (citofonare a Orbán e Kurz). E senza poter redistribuire meglio in Europa i profughi o i richiedenti asilo sarebbe necessario seguire un’altra strada, anch’essa però respinta duramente da Lega e 5 stelle: redistribuirli meglio in Italia.

 

Per redistribuire in Italia i profughi e i richiedenti asilo toccherebbe attuare al meglio un accordo firmato nel 2016 dall’Anci con il ministero dell’Interno. Quell’accordo prevedeva che i 150 mila richiedenti asilo e rifugiati presenti nel nostro paese fossero distribuiti lungo tutto il territorio nazionale con una media massima di 2,5 migranti ogni mille abitanti. Fattibile, no? Due anni dopo, però, su circa 8.000 comuni italiani le città che su base volontaria hanno scelto di aderire al Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) sono solo 1.100, e se il ministro dell’Interno volesse migliorare la redistribuzione sul territorio dei migranti – cosa a cui non è interessato – piuttosto che pensare a come smantellare lo Sprar dovrebbe occuparsi di convincere non la signora Merkel o il signor Macron ma i sindaci del suo stesso partito, che da mesi guidano la rivolta contro la redistribuzione dei richiedenti asilo e dei rifugiati.

 

Lo stesso discorso, se vogliamo, vale per i rimpatri e per il contrasto all’immigrazione irregolare. Per migliorare il sistema dei rimpatri, l’Italia dovrebbe stipulare nuovi accordi con i paesi di origine, ma al momento, a parte gli accordi firmati dai precedenti governi con Egitto, Nigeria, Tunisia e Marocco, non ci sono novità all’orizzonte e lo stesso Salvini ha riconosciuto che fino a quando il ritmo dei rimpatri con un paese come la Tunisia sarà di ottanta a settimana “per rimpatriare tutti ci vorranno ottant’anni”. Domandina: ma un paese debole in Europa, e che disprezza l’Europa, potrà mai costruire un insieme di relazioni tale da moltiplicare gli accordi per i rimpatri?

 

Al nostro ragionamento va infine aggiunto un ultimo elemento che riguarda un altro problema che diventerà centrale nei prossimi mesi, e che è stato ben descritto da uno studio effettuato dall’Ispi, anticipato da Repubblica, elaborato incrociando i dati su rimpatri effettivi, dinieghi di protezione e revoca di protezione umanitaria. Lo studio dice che da quando Salvini è diventato ministro dell’Interno il numero dei migranti irregolari risulta in aumento (più 12 mila) a causa della stretta portata avanti sui permessi, “inevitabile quando all’aumento dei dinieghi di protezione non corrisponde un analogo aumento dei rimpatri effettivi, solo 1.350, il cui trend si conferma in calo rispetto allo stesso periodo dello scorso anno”.

 

Per quanto possa sembrare paradossale, dunque, a trasformare nei prossimi mesi l’Italia populista in un non-modello per i sovranisti d’Europa potrebbero essere non solo i dossier legati all’economia ma anche quelli legati all’immigrazione. Salvini e Di Maio, finora, hanno raccontato agli elettori che le responsabilità della cattiva gestione del fenomeno dell’immigrazione sono attribuibili ai governi del passato, all’Europa e alle cooperative che hanno trasformato i migranti in un business (la percentuale di sbarchi rispetto al 2017 è grosso modo identica a quella registrata all’inizio della legislatura, da -77 per cento siamo passati a -79). Ma quando le chiacchiere si andranno a scontrare con la realtà, Salvini e Di Maio dovranno ammettere che sul terreno dell’immigrazione i problemi sono destinati ad aumentare proprio a causa della strategia del governo. Senza trasformare l’immigrazione in un business per il paese, senza rafforzare la solidarietà in Europa, senza migliorare la distribuzione dei migranti in Italia, il grande cavallo di battaglia dei populisti, la lotta all’immigrazione, potrebbe diventare il cavallo di Troia degli avversari di Salvini e Di Maio per smontare dall’interno il bluff sovranista.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.