Più Macron, meno Di Maio

Claudio Cerasa

Prima dei capitani vengono i capitali. Perché quando si guida un paese è più importante essere popolari tra gli investitori che tra gli elettori. I nuovi dati del disastro sovranista (-58 mld) e due lezioni francesi contro i Madoff della politica

Come si può pensare di redistribuire le fette di una torta senza fare nulla per avere prima a disposizione una torta da redistribuire? Nell’epoca della post verità sovranista, i partiti a vocazione populista sono a poco a poco riusciti a far passare un messaggio che suona grosso modo così: per valutare la traiettoria di un governo l’unico dato che conta è quello legato alla connessione sentimentale che chi governa riesce a costruire con il suo popolo.

 

Governare senza preoccuparsi del consenso è una dolce e rara utopia che può sopravvivere solo nei rari casi in cui si ha la fortuna di essere guidati più da statisti che da sfascisti ma per comprendere per quale motivo è un grave errore considerare le leve della popolarità il principale indicatore di successo di un governo è sufficiente mettere insieme le storie parallele della Francia e dell’Italia per capire un concetto semplice: quando si guida un paese è molto più importante preoccuparsi di essere popolari tra gli investitori che tra gli elettori. Prima dei capitani vengono i capitali.

 

Dal punto di vista elettorale, la Francia di Macron e l’Italia di Salvini e Di Maio differiscono per una ragione chiara: raramente nella sua storia recente l’Italia ha avuto un governo così popolare e raramente la Francia nella sua storia recente ha avuto un presidente così poco popolare. Eppure se ci si limita a osservare l’evoluzione economica di Francia e Italia si scoprirà facilmente che sfidare la politica del consenso è spesso l’unico modo per creare delle torte da tagliare a fette. A voler osservare con malizia le traiettorie dell’Italia e Francia negli ultimi mesi si potrebbe dire che in fondo, esattamente come l’Italia e come buona parte dell’Europa, anche l’economia francese ha registrato delle performance sotto le aspettative, almeno dal punto di vista della crescita – nell’ultimo trimestre del 2017, Macron contribuì a far crescere per la prima volta dal 2013 il pil francese di più rispetto alla media dell’Eurozona, nel secondo trimestre del 2018 la crescita della Francia insieme con quella dell’Italia, +0,2, è stata invece la più bassa dell’Eurozona. Ma la grande differenza tra l’Italia e la Francia è nascosta proprio sotto la superficie di questi numeri. E il dato interessante è che in un momento di difficoltà la differenza tra un paese che si occupa solo del presente ragionando sul consenso e di un paese che trascura il consenso ragionando sul domani è che il primo mette in fuga gli investitori, mentre il secondo continua ad attirarli.

 

I numeri pubblicati ieri dalla Banca d’Italia sulla quota di titoli di stato in mano agli investitori stranieri ci dicono che tra maggio e giugno la posizione degli investitori esteri rispetto all’Italia si è ridotta di quasi 58 miliardi di euro e per ripescare l’ultima volta che il nostro paese ha registrato un deflusso mensile di tali dimensioni bisogna andare indietro nel tempo fino al 2011 ai mesi della crisi finanziaria. E se si vanno a incrociare i dati relativi agli investimenti diretti arrivati in Italia e in Francia dall’estero negli ultimi mesi si scoprirà che i capitali stranieri tendono a spostarsi più verso i paesi che provano a riformare se stessi aprendosi al mercato piuttosto che verso i paesi che provano a cambiare il sistema distruggendo prima di tutto le riforme del passato.

 

Due dati ci possono aiutare a capire meglio di cosa stiamo parlando. Il primo arriva dalla Banca centrale europea e ci dice che a giugno del 2018 la Francia ha visto crescere i suoi investimenti diretti esteri per una quota pari a 2.927 milioni di euro mentre nello stesso mese l’Italia ha perso una quota pari a 4.343 milioni di euro. Il secondo ci arriva invece dall’ultima ricerca mensile pubblica per l’Europa da Bank of America e ci dice che a parità di crescita economica il sentiment da parte dei fondi di investimento europei, tra luglio e agosto del 2018, differisce in modo sostanziale tra la Francia e l’Italia: una quota compresa tra il 35 e il 25 per cento dei fondi interpellati ha scelto di diminuire la sua esposizione in Italia (peggio di noi tra i grandi mercati europei solo la Gran Bretagna con meno 48 per cento), mentre una quota compresa tra il 20 e il 30 per cento ha deciso di aumentare la sua esposizione in Francia (meglio della Francia solo la Germania con più 35 per cento). Trasformare Macron in un nemico del popolo guardando solo alla sua popolarità, operazione portata avanti per ora con successo dai sovranisti all’amatriciana a dagli utili idioti dell’anti macronismo, non è dunque solo un modo per ingannare i propri elettori ma è un modo per portare avanti una tesi spericolata e controproducente per il proprio paese. Un governo che si preoccupa di creare ricchezza è un paese che può permettersi di redistribuire le torte. Un governo che distribuisce torte che non sa creare è un paese che si candida a essere il Madoff dell’Europa. E mettere in fuga i capitali, oltre che i presidenti di Consob, non significa occuparsi dei propri cittadini. Significa semplicemente fuggire dalla realtà.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.