Emmanuel Macron (foto LaPresse)

Attraversa la strada e liberati della cupa demagogia, Europa

Giuliano Ferrara

Macron, come la Thatcher, ha detto a un giovane quel che deve fare. E a tutti quanti come liberarsi dai totem populisti

Tutti a sfruculiare Macron perché a un giovane che in strada gli ha detto avvilito la brutta fine che fanno i curriculum inviati alle imprese ha risposto che nella ristorazione e in altre attività produttive è pieno di imprenditori che cercano lavoratori, “se attraverso la strada le trovo un posto, via, si dia da fare”. L’uomo è fatto così, gentile, frizzante, ma indisponibile alla demagogia nella sua forma più diffusa e più indifferente ai fatti, cioè la cultura del piagnisteo. Il vittimismo non gli piace, sospetta l’elemento gallico di essere refrattario ai cambiamenti, alle riforme, e lo dice incurante della minima cautela, prende di petto tutto quello che sa di risentimento convenzionale contro la società e le leggi dell’economia, conta di risolvere le questioni serie con le misure riformiste ma poi, come fece la Thatcher quando disse che per trovare lavoro bisognava inforcare la bicicletta o prendere un aereo, il mondo è pieno di posti di lavoro in attesa di essere occupati, sbotta contro la cupa e autolesionista disfatta delle energie e delle coscienze, che è un tratto orripilante dell’umor nero contemporaneo.

 

Non si è fatto ingannare in principio dall’ottimismo e dalla faciloneria, da subito ha detto ai francesi che per liberare forze e attitudini occorre anche proteggere, sa quanto conti lo stato nel cuore statuale della centralizzazione e del colbertismo, e al suo paese e all’Europa ripete che il proteggere non è antiliberale, un quantum di welfare e di socialdemocrazia è incistato ormai nella storia, e con ragione, però non basta piangersi addosso, e liberarsi è giusto, un politico di movimento e di stato con la testa sulle spalle non può inseguire i feticci cupi delle masse per come i profeti della loro ribellione le rappresentano. Inoltre, ha un certo rispetto per i dati. Si sa anche da noi che ci sono e sono molti gli imprenditori in cerca di gente che lavori, e non la trovano, ma è d’uso comune credere come in un totem diabolico, in un fenomeno oscuro da esorcizzare, nelle stime sulla disoccupazione giovanile, la prova di un passato che non passa (l’arretratezza del sud e delle periferie) e di un futuro minaccioso (le tecnologie mangialavoro). Eppure le fortune dei demagoghi si costruiscono proprio su questi totem, l’immigrazione in Italia è calata del settantacinque per cento, in Europa del cinquanta per cento, ma è sull’ideologia della lotta allo straniero, della caccia al negher protagonista del grande rimpiazzo, che boss novissimi e vecchissimi bulli costruiscono le loro fortune elettorali.

 

Dire “attraverso la strada e ti trovo un lavoro” a un giovane che si lamenta è eccelso e anche eccessivo, se vogliamo, espone chi lo dice, specie se è il capo del sistema di decisione politica, a ironie e riprovazioni e ritorsioni già belle e fatte, già pronte per l’uso. Ma è un atto di coraggio e di verità. Può essere che sbagli, ma insisto: coraggio e verità contro le falsificazioni e la paura, è una linea senza alternative, bisogna non temere la riprovazione sociale usuale ed essere spavaldi, certo in un quadro in cui qualcosa si fa, e di importante, per proteggere, appunto, e per offrire garanzie e sicurezze. Il riformismo liberale del nostro tempo ha molte cose da rivedere, molte premesse da verificare di bel nuovo, molte correzioni alle sue tecniche da apportare, ma alla fine è questo, è un ottimismo filosofico e retorico suffragato da fatti e intenzioni e decisioni. Senza i fatti e il bagno di realtà non si combina nulla, ma con la cultura del piagnisteo, che è arrivata ad assumere le proporzioni gigantesche di un orco, e sta distruggendo ogni fiducia e ogni slancio, non si arriva ad alcuna conclusione positiva, si lascia il campo a orde di piagnoni capitanate dai praticoni della “democrazia illiberale”.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.