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Come perdere la fiducia di aziende e famiglie con la mala-annuncite

Marco Fortis

Quanto pesa sulla credibilità economica di un paese l’incertezza di una linea politica. Un’analisi con numeri da incubo

Il Centro di analisi economica Markit, i cui indici congiunturali sono presi a riferimento anche dalla Banca centrale europea, ha appena diffuso una sfornata di dati relativi al mese di agosto 2018 che fotografano il rallentamento dell’economia italiana in questa ultima parte dell’anno.

 

Gli annunci e contro-annunci del nuovo governo hanno creato un clima di perplessità e disorientamento tra le imprese e tra le stesse famiglie risparmiatrici e consumatrici. In pochi mesi l’analisi di Markit è passata dall’ottimismo allo sconforto, in un contesto europeo di rallentamento dell’economia

Sembrano ormai lontani i tempi in cui, appena pochi mesi fa, l’indice degli acquisti dei manager del settore manifatturiero in Italia (Purchasing Managers’ Index, meglio noto come Pmi) era lanciatissimo. Tant’è che il primo febbraio scorso il rapporto mensile di Markit titolava, con riferimento al gennaio 2018: “Crescita record del settore manifatturiero italiano in quasi sette anni”. E tra i punti salienti della sua analisi mensile il centro britannico annotava: aumento maggiore della produzione da febbraio 2011; crescita degli ordini tra le maggiori registrate dal 2000; il secondo aumento più elevato dei livelli occupazionali nella storia dell’indagine. Pochi giorni fa, invece, il titolo dell’ultimo rapporto Markit sull’andamento dell’industria italiana così recitava: “Ad agosto il settore manifatturiero si avvicina alla stagnazione”. Dunque, un rovesciamento pressoché completo della situazione in un pugno di mesi.

 

Come è stato possibile? E’ vero che tutta l’economia europea ha rallentato. E’ vero che cominciano a farsi sentire le turbolenze daziarie sui flussi commerciali innescate dal neo protezionismo sovranista trumpiano. Ma c’è dell’altro che pesa in modo specifico sull’inversione di tendenza della nostra dinamica economica ed è il clima di perplessità e disorientamento che si è diffuso tra le imprese e tra le stesse famiglie risparmiatrici e consumatrici a seguito del quadro confuso di annunci e contro-annunci del nuovo governo italiano sui temi di politica economica. Un approccio psicologicamente devastante nei confronti dei comportamenti delle aziende, degli investitori e dei consumatori che nel giro di poco tempo ha agito da freno su un trend di ripresa dell’Italia che era stato faticosamente raggiunto dopo molti sacrifici ed alcune scelte economiche coerenti. Ripresa che in alcuni settori chiave, come la manifattura, il commercio all’ingrosso, i trasporti e il turismo, procedeva addirittura a tassi superiori a quelli medi europei.

 

Basti pensare che nel gennaio 2018 l’indice Pmi manifatturiero di Markit per l’Italia aveva raggiunto il livello record di 59 (50 è il livello soglia che separa una situazione di crescita dell’economia da una situazione di recessione, in un intervallo minimo-massimo da zero a 100). Era un valore, quello italiano, appena più basso di quelli di Germania, Olanda e Austria ma assai più robusto di quelli toccati nello stesso mese da Francia, Irlanda, Spagna e Grecia. Un valore che denotava una dinamica della nostra industria estremamente positiva, trainata dalla domanda sia interna sia estera.

 

Le aziende del made in Italy erano allora ancora molto ottimiste, tutto andava a gonfie vele, occupazione compresa. Tanto che Paul Smith, direttore per Markit del Rapporto sull’Italia arrivò a definire i risultati ottenuti dal settore manifatturiero italiano a gennaio 2018 addirittura “spettacolari”. Lo scorso agosto, viceversa, il quadro della nostra congiuntura industriale sembra già essersi drammaticamente modificato: “Sia la produzione che i nuovi ordini sono risultati più bassi, indeboliti dalla domanda domestica, mentre i livelli occupazionali sono aumentati al tasso più debole da settembre 2016”. Inoltre, si è registrata, secondo Markit, una preoccupante contrazione dell’ottimismo “facendo scivolare l’indice delle aspettative future al tasso più basso da maggio 2013”. In soli sette mesi il Pmi manifatturiero del nostro paese ha perso quasi 9 punti precipitando ad agosto 2018 al livello di 50,1 (appena sopra la soglia di recessione): il valore più basso tra i paesi dell’Eurozona analizzati da Markit.

 

Non solo. Secondo il centro di analisi inglese oltre alla manifattura anche il nostro settore dei servizi ha fatto registrare ad agosto un sensibile peggioramento. Il titolo dell’ultimo rapporto specifico di Markit sul terziario italiano così recita: “Le aspettative economiche vacillano e la crescita del terziario si indebolisce”. In particolare, secondo Markit la fiducia delle imprese italiane dei servizi sulle prospettive future ad agosto è scivolata ai minimi da giugno 2013. Sicché, in conclusione, anche l’indice composito della nostra economia (manifattura più terziario) è caduto al livello più basso degli ultimi 22 mesi a quota 51,7: il valore peggiore tra i paesi della moneta unica.

 

La conclusione di Paul Smith non lascia molti margini di speranza: “L’affievolimento della fiducia delle aziende, viste le tensioni commerciali a livello geopolitico, l’incertezza sulle politiche del governo e le difficoltà di accesso al credito per gli investimenti, sembrano indicare che le prospettive di crescita a breve termine siano alquanto modeste. I livelli attuali dei dati Pmi sembrano indicare l’effettiva possibilità di una stagnazione della produzione economica complessiva nel terzo trimestre 2018”. Una ipotesi che il ministro dell’economia Giovanni Tria e l’intero vertice del governo, rimettendo finalmente i piedi per terra dopo tanti slogan e annunci, dovrebbero prendere seriamente in considerazione.

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