Stefano Buffagni. Foto LaPresse

Il brindisi di un governo che esulta mentre va a sbattere

Salvatore Merlo

Come spacciare un disastro per un trionfo. Fenomenologia breve di Buffagni, l’Alì il Comico di Di Maio

Roma. I rendimenti dei titoli di stato salivano ai massimi dal 2014, e lui: “Ottime notizie”. Le agenzie di rating già stavano riflettendo sul declassamento, e lui: “E’ un segnale molto positivo”. Probabilmente la figura più simile a Stefano Buffagni, che tutti dicono sia “il Gianni Letta di Di Maio”, insomma quello in gamba (figuriamoci gli altri), è Alì il Comico. Insomma questo trentacinquenne sottosegretario dall’aria atteggiata e consapevole ricorda quel Mohammed Saeed al Sahaf, ministro dell’Informazione di Saddam Hussein, che in una mitologica diretta televisiva durante la guerra del 2003 annunciava al mondo il trionfo dell’esercito iracheno nell’istante in cui, alle sue spalle, già si vedevano passare i carri armati americani del generale Tommy Franks.

  

Attraverso l’ilarità di certe situazioni si sente nell’aria l’incombere di una catastrofe, piccola o grande, o piuttosto il presentimento della disgrazia, dell’infortunio: la pantomima a un passo dal dramma. Se salgono i rendimenti dei titoli di stato s’ingrossa il debito pubblico, se s’ingrossa il debito pubblico s’innalza lo spread, e se s’innalza lo spread oltre una certa misura… beh, lo sappiamo. E infatti, negli ultimi dieci anni di crisi, nemmeno il più grande impresario teatrale d’Italia, cioè Silvio Berlusconi, quello dei ristoranti che erano sempre pieni, aveva spinto la propria sbrigliata fantasia fino all’autosatireggiante e drammatico estremo di capovolgere la realtà, celebrando l’aumento dello spread: “Questo dimostra che c’è fiducia nell’economia italiana e nella capacità dell’Italia di onorare i propri debiti”, come ha invece detto Buffagni, giovane commercialista milanese che tre mesi fa si è visto proiettare in cima alle altezze più vertiginose di Palazzo Chigi e adesso si occupa addirittura delle nomine pubbliche all’Eni e alle Ferrovie. “L’asta per i Btp a 5 e 10 anni ha fatto sold out”, ha scritto, come fosse il tutto esaurito d’uno spettacolo di Beppe Grillo. Quindi, con un brivido d’eccitazione e d’orgoglio, sul sito del Movimento 5 Stelle ha dettato la linea a tutti i parlamentari grillini, i quali all’unisono – tipo bot programmati dalla Casaleggio – si sono messi a twittare la stessa cosa pure loro, bizzarri come quel tale che aveva inventato un’ora che dura mezz’ora. Sicché in pochi minuti, sul web, si è forse composto il più maldestro e disperatamente orwelliano tentativo di spin politico della storia.

  

Ovviamente nessuno ammette mai di aver combinato un pasticcio, né di essere a un passo dal disastro. E la politica, come diceva Kraus, è pur sempre effetto di scena. D’altra parte, quando nel 2011 lo spread stava per abbattere il governo, Giulio Tremonti parlava di “aggressione speculativa” e diceva di voler rispondere “con le riforme”, e che tutto era sotto controllo. Persino Mario Monti, il rigido e preciso Monti, disse che il declassamento del debito italiano era “ingiusto” e più duro del dovuto, perché i fondamentali dell’economia erano in realtà buoni. Tuttavia mai nessun politico prima di Buffagni – Di Maio ce lo conservi – aveva regalato a questo paese il brindisi incongruo e surreale, l’esultanza per l’autogol, il festeggiamento per la martellata sul piede, accostandosi in un lampo geniale alla grande tradizione comica italiana, da Fantozzi a Checco Zalone: “Evvai! Stiamo per andare a sbattere”. Cin cin.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.