Matteo Salvini all'Aquila (foto LaPresse)

Leghisti d'Abruzzo, così la vecchia destra sogna la regione

Valerio Valentini

Ex missini in disarmo e berlusconiani delusi hanno trovato una seconda giovinezza con Salvini

Roma. Non a tutti, certo, e neppure alla maggior parte: ché di opportunisti della buona, ultima ora, adesso ce no sono parecchi. Ma a qualcuno, è indubbio, gli va riconosciuto, se non altro, il merito di averci creduto fin dall’inizio. Il 19 dicembre del 2014, era un venerdì, nella sala del Mappamondo, ad assistere alla presentazione del nuovo simbolo di “Noi con Salvini”, gli abruzzesi presenti erano quattro. Indifferenti, loro e pochi altri in tutta la regione, all’eco ancora non dissoltasi degli insulti di Mario Borghezio ai terremotati del 6 aprile (“Un peso morto, come tutto il sud”), ai fallimenti recenti nella raccolta delle firme necessarie per presentare le liste alle politiche del 2013 e ai pernacchi con cui erano stati accolti i primi tentativi d’incistamento della Lega all’Aquila, dove qualche improvvido leghista forestiero, durante la campagna per le comunali del 2012, aveva pensato di presentarsi con volantini anti-migranti su cui campeggiavano slogan in dialetto pescarese (“Mo avast”). In dialetto pescarese. All’Aquila. Non proprio una mossa azzeccatissima.

 

Eppure, convinto dall’entusiasmo contagioso dell’allora senatore – oggi deputato – Raffaele Volpi, irriducibile lumbard e al contempo tra i primi teorici dello sconfinamento al centro-sud della Lega salviniana, Giuseppe Bellachioma non ha mai dubitato che si trattasse di un progetto destinato al successo. E allora forse non stupisce che sia stato proprio lui, segretario regionale del Carroccio in Abruzzo e nel frattempo promosso a capogruppo in commissione Bilancio alla Camera, in queste settimane di afa agostana, a forzare la mano a Matteo Salvini e a Giancarlo Giorgetti. I quali, per annunciare la corsa solitaria alle regionali di novembre, avrebbero atteso magari il rientro dalle ferie estive. E invece Bellachioma, teramano classe ’59, li ha spinti ad anticipare i tempi: forse sapendo, pure lui, che alla fine la ricomposizione del fronte del centrodestra in Abruzzo ci sarà, ma sarà data a Forza Italia come una sorta di benevola concessione, così da accaparrarsi i voti dei pochi notabili ancora rimasti fedeli alla causa berlusconiana senza però dovere accettare, più di quel minimo comunque inevitabile, le loro pretese di poltrone e incarichi.

 

“Ho fatto comizi anche davanti a cinque, dieci persone”, ha ricordato con gli amici all’indomani del 4 marzo, quando la sua elezione alla Camera – resa più tribolata dalle polemiche, anche interne, per una gestione un po’ padronale delle liste – era ormai cosa certa. E in effetti, quando si gettò nell’impresa di far mettere radici alla Lega in Abruzzo, insieme a un manipolo di pionieri, ormai quasi cinque anni fa, in tanti lo guardarono con ghigni beffardi. Dovette farsi convincere, lui digiuno di politica attiva ad alti livelli, da sua moglie Nadia Casadei, originaria di Ascoli Piceno, una laurea in Giurisprudenza e una militanza di quasi sei anni nella Lega, per la quale era stata anche segretario provinciale. Arrivando anche a spendersi, nel giugno del 2014, in accorati appelli perché il centrodestra si presentasse alle regionali marchigiane con un candidato unico. Ironia beffarda del destino. Rimarrà segretario fino al gennaio del 2016, quando abbandonerà polemicamente il partito già a trazione salviniana dicendosi “amareggiata” per “aver creduto in un’ideologia che mi aveva dato la speranza di un cambiamento concreto”. E invece. “E’ necessario ridare prestigio alla politica, cerco quella vera”, dirà lei, mentre suo marito nel frattempo, in quello stesso partito che lei lasciava, decideva di impegnarsi. “E’ un sogno possibile”, dichiarava fiducioso Bellachioma.

 

Insieme a lui, sin da allora, c’è Simone Angelosante, reumatologo cinquantaquattrenne cresciuto a Caracas e sindaco di Ovindoli, 1.200 abitanti a 1.330 metri d’altezza sull’Appennino; ma anche presidente, in passato, dell’ente regionale che gestisce il Parco del Sirente-Velino; ma anche direttore sanitario della clinica privata “L’Immacolata” di Celano. E se Bellachioma aveva una pur ambigua estraneità alla politica, da rivendicare, Angelosante, col suo passato più che decennale di militante prima e da esponente poi di Alleanza Nazionale, incarna meglio l’identitik più comune del dirigente leghista abruzzese: e cioè quello di vecchio colonnello della destra che poi, un po’ per delusione e un po’ per abilità nel fiutare l’aria nuova, si ricicla sotto le insegne del sovranismo di una Lega che nel frattempo, travolta dagli scandali e dalle inchieste, si fa sempre meno nordista. E non a caso in quel gruppetto d’avanguardisti, nel 2014, c’è anche Alfredo Castiglione, anche lui ex An e poi Pdl, già vicepresidente della regione. Resisterà solo un anno, però, nel direttivo di Noi con Salvini, prima di dimettersi con una lettera velenosa in cui parlava di una forza politica che “si è rivelata solo una chat, o una serie di chat gestite con fare schizofrenico, e come tale una scatola vuota senza struttura e senza contenuti”.

 

E in effetti, a lungo il leghismo in terra d’Abruzzi è apparso un tentativo un po’ goffo di riciclare vecchi rottami o giovani esuli della destra che fu. Qualche cambiamento – sommovimenti apparentemente marginali, ma che pure qualcosa dovevano dire di quel che stava accadendo – si è cominciato ad avvertire nell’autunno scorso. Pietro Quaresimale, sindaco di Campli eletto nel maggio del 2014 con una lista civica “moderata” piuttosto trasversale, avvocato del piccolo comune teramano e presidente di una squadra locale di basket, a metà settembre, alla festa della Lega, si fa fotografare tra le bandiere verdi e blu sul pratone di Pontida, con tanto di fascia tricolore indosso. E’ un segnale. Che testimonia da un lato di come il progetto salviniano di un partito nazionale e nazionalista risulti attrattivo anche tra il Gran Sasso e l’Adriatico, e dall’altro di come, contemporaneamente, la fuga dal centrodestra sia iniziata. Bellachioma, originario di Roseto – dove però ora più che altro trascorre le vacanze al mare, facendosi selfie a torso nudo nell’intento di emulare il venerato Capitano – ma residente nelle Marche, dove gestisce una ditta di pompe funebri, è abile nel tessere una rete di relazioni dall’ordito sempre più stretto con comitati di attivisti e liste civiche, compiendo una vera e propria campagna acquisti tra consiglieri centristi o destrorsi, assessori e vicesindaci, dei comuni più disparati – gli ultimi dodici ingressi proprio a inizio giugno.

 

Un’altra efficace trovata, alla vigilia delle ultime politiche e già in vista delle regionali, è quella dei dipartimenti: piccoli assessorati ombra affidati, manco a dirlo, a esponenti del centrodestra in libera uscita. Gente come Gianfranco Giuliante, militante storico del Msi, poi finiano e infine berlusconiano, collezionista d’incarichi e poltrone, vicepresidente nazionale di Federparchi, consigliere comunale e provinciale, e poi regionale, e poi assessore con la giunta di Gianni Chiodi. Nato a Chieti ma affermatosi politicamente all’Aquila, dov’è stato a lungo coordinatore del Pdl, di recente è stato nominato commissario di Lega-Salvini Premier – ché ormai questo è il nome dell’ex Ncs – a Pescara.

 

Il 4 marzo, poi, ha fatto il resto. La Lega è arrivata a un soffio dal Forza Italia, alle politiche, ma ha registrato una crescita di consensi clamorosa. Specie all’Aquila, dove il nuovo vento sovranista s’era già alzato nel 2017 con l’elezione di Pierluigi Biondi, candidato unico del centrodestra, ma espressione dei Fratelli d’Italia, benedetto da Salvini e con un passato assai recente in CasaPound. E così a giugno è arrivato anche il primo sindaco leghista della storia d’Abruzzo: è Andrea Scordella, quarantaduenne ispettore di polizia che ha vinto a Silvi Marina – la stessa cittadina di 15.000 abitanti nel Teramano dove, nel novembre del 2014, venne organizzata la prima improvvisata, e fallimentare, riunione di “L’Abruzzo è con Salvini”. Scordella s’è ovviamente subito lanciato in operazioni un po’ propagandistiche sulla sicurezza nelle spiagge, e Salvini è arrivato a metà luglio, da ministro dell’Interno, a festeggiare la presa della città. E quella sera, a dirigere il dj-set, sul palco, c’era Giorgio Fioravanti, una tra i primi attivisti, e dunque tra i primi delusi, del M5s aquilano: per dire di come il progetto salviniano piaccia non solo ai berlusconiani in disarmo.

 

Ora, per giustificare la rottura con Forza Italia, Bellachioma e compagni utilizzano, ridotte in scala, le stesse accuse che anche Salvini sempre più di frequente rivolge agli azzurri in Parlamento: e cioè di votare più o meno pudicamente in sintonia col Pd. In Abruzzo l’“inciucio” denunciato è sulla nuova legge elettorale regionale, oltreché – per dire a cosa ci si attacca – sulle nomine dell’Autorità regionale di gestione integrata dei rifiuti urbani. Ma tant’è: i leghisti, nel colpaccio d’autunno, ora, ci credono davvero. Anche in virtù del disfacimento del Pd, condannato ad assistere inerme all’amletico indugio del governatore Luciano D’Alfonso, che da neoeletto senatore s’è prima rifiutato di dimettersi, e poi c’ha messo quasi sei mesi per decidere quale scranno conservare, mandando così la regione al voto anticipato. Certo, il M5s fa paura: e però i grillini – ancora in attesa di capire dal Sacro Blog il perché della anomale sospensione delle regionarie online, ma che già sanno che la loro candidata sarà Sara Marcozzi – sono tanto forti sulla costa quanto inconsistenti nell’entroterra aquilano, dove Salvini può contare invece sul navigato Luigi D’Eramo, deputato fresco di elezione alla Camera col Carroccio ma che proviene, manco a dirlo, dal fronte di An. E del resto, come dimostra il fiasco grillino alle recenti comunali di Teramo – dove pure i pentastellati arrivavano con grandi aspettative, spinti dall’entusiasmo del 4 marzo –, nel voto locale il M5s paga sempre molto per l’inconsistenza dei suoi rappresentanti. E allora ecco la tentazione di “andare da soli”: e magari pure candidando quel Fabrizio Di Stefano di cui tanto si vocifera come possibile nuovo governatore. Sarebbe difficile, per Salvini, con una scelta simile, parlare di cambiamento, di rottura: Di Stefano, classe ’65, ha già due legislature alle spalle tra i banchi del centrodestra, e ha fatto anche lui la solita trafila: Msi fino al 1995, An fino al 2009, Pdl e Forza Italia fino all’altro ieri. Sarebbe complicata da spiegare, certo, ma allo stesso tempo sarebbe una perfida provocazione nei confronti di Forza Italia, che il 4 marzo ha deciso di non ricandidare Di Stefano. Sul suo nome la coalizione potrebbe ricomporsi quasi fuori tempo massimo, oppure saltare definitivamente per aria.

Di più su questi argomenti: