I banchi della Lega alla Camera (foto LaPresse)

Dignità sì, ma non così. I malumori leghisti e il decreto annacquato

Valerio Valentini

Il dl arriverà in Aula domani pomeriggio, e si potranno presentare emendamenti fino alle otto. Prima erano i grillini che gridavano allo scandalo per i tempi risicati concessi alle opposizioni

Roma. Quando sono ormai le cinque del pomeriggio, mentre in Aula infuria la discussione sui terremotati, Dario Galli appare alla buvette. Volto tirato, un fascicolo di fogli in una mano, nell’altra la tazzina del caffè. “C’è un problema di coperture”, sospira. Non si riferisce, ovviamente, ai fondi per la ricostruzione dei comuni del cratere sismico. Il dossier su cui il leghista di Tradate, sottosegretario al Mise, sta tribolando, è quello del cosiddetto decreto dignità: quello che, a giudizio di Luigi Di Maio, dovrebbe rottamare il precariato. La questione delle coperture, in verità, “è poca cosa”, precisa: una rogna da risolvere in qualche ora, provocata dalla mezza retromarcia del ministro grillino. Il quale, dopo una riluttanza apparentemente categorica, ha poi finito col cedere alla richiesta che da parte dell’alleato di governo arrivava pressante, e cioè introdurre degli incentivi alla stabilizzazione dei contratti. Si tratterebbe, in verità, di restituire il contributo aggiuntivo dello 0,5 per cento previsto dallo stesso decreto per chi rinnova i contratti a termine.

 

Illusionismo? “Ma no”, sorride Galli. Che prosegue: “L’aggravio era minimo, ma era pur sempre una sanzione negativa dal punto di vista psicologico. Bene, dunque, che il governo si impegni a restituire una cifra equivalente a quegli imprenditori che, nell’incertezza attuale, decidono di rinnovare un contratto a termine, e poi però si convincono ad assumere”. Il problema, semmai, per Galli è capire – “o anzi far capire”, precisa, alludendo evidentemente ai colleghi di governo a cinque stelle – “che nessun imprenditore si diverte a licenziare un dipendente valido. Solo, molto spesso ha bisogno di valutare i propri neo assunti, senza per questo vedersi danneggiato. Dunque è inevitabile, e forse perfino salutare, che ci sia un percorso graduale che porti poi all’assunzione, e che al contrario è illusorio, se non utopico, presumere che si possa assumere sin dall’inizio con tutte le tutele”.

 

E insomma l’impressione è che la Lega vorrebbe cambiarlo molto più di quanto poi alla fine, forse, non sarà possibile fare: tanto più che i vertici del M5s hanno già fatto capire che, in caso di scarsa disciplina del Carroccio, si procederà con la fiducia. E mentre Di Maio liquida le critiche di Confindustria come mero “terrorismo psicologico”, a pochi metri di distanza, nel corriodoio dei fumatori, il capogruppo leghista Riccardo Molinari parla – lui che pure è di Alessandria – dei camalli di Genova. “E’ un caso emblematico”, spiega. “I lavoratori del porto hanno perlopiù dei contratti di somministrazione. Ideologicamente noi saremmo anche favorevoli a una stretta, ma le possibili controindicazioni, nell’immediato, vanno valutate con attenzione”. Il decreto dimaiesco, infatti, a quei contratti estende le stesse regole dei nuovi contratti a termine: durata minima, rinnovo condizionato, e insomma costi maggiori per il datore di lavoro. Un azzardo? Forse sì, per molti leghisti, se è vero che in queste ore si sta lavorando per fare in modo che, usciti dalla porta, i contratti di somministrazione rientrino dalla finestra.

  

“Stiamo ragionando su una soglia del 20 per cento sul totale dei dipendenti di ciascuna azienda”, conferma Claudio Durigon, pure lui sottosegretario a Via Veneto, ma al ministero del Lavoro. “In sostanza, per ogni cinque lavoratori, uno potrà essere interinale”, semplifica prima di congedarsi. Sembra insomma che alla fine, al netto delle fanfare trionfalistiche, il decreto uscirà assai annacquato dalla trattativa. In Aula arriverà domani nel primo pomeriggio, e per presentare gli emendamenti ci sarà tempo fino alle otto di sera. Un tempo erano i grillini, quelli che gridavano allo scandalo per i tempi risicati concessi alle opposizioni.

   

Ora, passando in Transatlantico, sono loro stessi a sminuire le critiche di chi gli fa notare che così si avrà appena il tempo di leggerlo, il testo. “Quello che potremmo ottenere, ragionevolmente, sarà la reintroduzione dei voucher”, ragionano tra loro i deputati leghisti. “Su quello faremo le barricate, sul resto abbozzeremo”. E forse ancora non lo sanno, ma anche su questo potrebbero trovare qualche insperato sostegno, nel M5s. Il grillino Andrea Colletti, quando capisce che è sui voucher che si sta discutendo, resta quasi stupito: “Per me – dice – sarebbe meglio reintrodurli. Nel settore agricolo, sì, ma soprattutto per quei lavoretti casalinghi, come colf o baby sitter, dove è tornato a regnare il nero”. Un’abiura? “No. Semplicemente – riflette – tornerei alla formula originaria dei voucher, inserendo dei limiti orari più stringenti che indichino l’inizio e la fine della prestazione. Mi sembra un atto di buon senso”. Che di questi tempi è raro, in effetti, almeno quanto la dignità.

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