Matteo Ricci (a sinistra) e Maurizio Martina (foto LaPresse)

“Andare oltre il Pd? Fuori non c'è niente”

David Allegranti

Parla il responsabile Enti locali, Matteo Ricci: “Tra i motivi per cui abbiamo perso ci sono le divisioni e le discussioni sui giornali. Volevamo commissariare i partiti di Pisa e Siena, ma ci hanno accusati di interferenze nazionali”

Roma. Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, è stato confermato responsabile Enti locali del Pd nella nuova segreteria di Maurizio Martina. Le nomine hanno scatenato non poche polemiche, ma, dice Ricci, “siamo in una fase particolare, bisogna cercare l’unità ed è per questo che in attesa del congresso abbiamo costruito una segreteria più unitaria possibile. Quando scegli le persone c’è sempre qualcuno che storce il naso e ne avrebbe volute altre. Comprensibile ma non è questo il momento per perdersi in polemiche di questo tipo. Dobbiamo costruire le condizioni per realizzare una piattaforma culturale alternativa al populismo. E’ stato dato troppo peso, troppa importanza alle nomine di questa segreteria”.

 

E comunque, sottolinea Ricci, “io ero responsabile Enti locali con Matteo Renzi e sono stato confermato. Tommaso Nannicini era in segreteria ed è stato confermato. Idem Teresa Bellanova. Gianni Dal Moro è molto legato a Renzi e Luca Lotti. Il problema vero è Francesco Boccia, anche se facendo la segreteria unitaria è inevitabile. Comunque alla fine Boccia non c’è perché Michele Emiliano non ha aderito”.

 

Comunque, dice Ricci, io capisco tutto “però fare una polemica sulla segreteria, che è solo uno degli organismi che abbiamo, mi pare del tutto esagerato”. E a Carlo Calenda che non vuole più occuparsi di Pd che dice? “Mi dispiace, è una voce autorevole, un pezzo importante del nostro elettorato da coinvolgere. Siamo in una fase difficile e c’è bisogno di tutte le energie da coinvolgere, Calenda compreso. Spero ci ripensi. Occuparsi del Pd non vuol dire occuparsi delle beghe del Pd ma delle politiche del Pd. Su questo Calenda può dare una mano”. Insomma, dice Ricci, “dobbiamo ricreare le basi culturali e politiche di un nuovo schieramento riformista in Italia. E uno dei temi sarà la forma partito. A partire dal rapporto tra leadership e democrazia. Noi siamo l’unico partito veramente democratico. Il problema è che il giorno dopo il congresso la leadership viene subito messa in discussione; significa c’è un problema di carattere democratico. Non è un problema degli ultimi anni ma un problema storico della sinistra. Se chi vince il congresso viene messo in discussione non riusciamo a essere competitivi. Una delle cose che mi hanno sorpreso in questi anni dell’ascesa di Matteo Salvini è che viene presentato come ‘il capitano’. C’è dunque la Lega, che ha un’impostazione apparentemente democratica, ma legata a una leadership che nessuno mette in discussione. Ci sono i Cinque stelle, che al di là di Rousseau e delle varie prese in giro dell’uno vale uno, alla fine hanno una struttura verticistica con Davide Casaleggio, Beppe Grillo e Luigi Di Maio e il resto del partito non mette in discussione quello che dicono i vertici. Ora, noi siamo democratici per davvero, facciamo i congressi, le primarie, però dobbiamo rispettare il mandato della leadership senza dare l’immagine deleteria che abbiamo dato in questi anni”.

 

Ricci fa l’esempio di alcune vicende amministrative. “Prendiamo due vittorie, Ancona e Brescia, e due sconfitte, Pisa e Siena. Ad Ancona e Brescia, dove alla fine del 2017 partito e coalizione avevano confermato i sindaci uscenti, si sono messi tutti a lavorare e spiegare i progetti futuri. Siamo arrivati terzi alle Politiche ma abbiamo vinto alle comunali. A Brescia persino al primo turno. A Siena e Pisa al contrario, nonostante avessimo governato abbastanza bene, abbiamo litigato fino al giorno prima, mesi e mesi discussioni sui giornali e divisioni. Eravamo anche tentato di commissariare i partiti di Pisa e Siena, non l’abbiamo fatto perché ci avevamo accusato - soprattutto a Pisa - di interferenze nazionali. Tra i motivi per cui abbiamo perso ci sono le divisioni e le discussioni sui giornali”.

 

Una lezione, dice Ricci, che deve servire anche per il congresso nazionale. “Ripeto, se uno vince e il giorno dopo lo metti in discussione, come si presenterà alle prossime elezioni?”. Le primarie insomma “non possono diventare una divisione perpetua, i congressi non possono essere una baraonda. Questo conta più della forma organizzativa o della comunicazione. Dobbiamo imparare dagli errori del passato e, in più, evitare discussioni ombelicali. Non possiamo fare un congresso su Ds-Margherita, renziani-antirenziani, Macron-antiMacron. Dobbiamo discutere su una piattaforma larga che tenga insieme i riformisti italiani”. Da questo punto di vista “l’esperienza dei sindaci conta. Il 60 per cento dei sindaci italiani è di centrosinistra, ci sono stante persone molto in gamba nelle città che hanno messo insieme al Pd le energie migliori del civismo. Dobbiamo fare lo stesso a livello nazionale. Il Pd non è sufficiente ma non c’è nulla di organizzato fuori dal Pd. C’è chi dice andiamo oltre il Pd, ma non è che possiamo smontare l’unica cosa organizzata che abbiamo se fuori non c’è niente”.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.