Luigi Di Maio (foto LaPresse)

Contro i sicari del diritto d'autore

Claudio Cerasa

Non si può essere indifferenti di fronte a un vicepremier che rinuncia a difendere i produttori di contenuti e che sogna di addentare la democrazia a colpi di maoismo digitale. La nuova pericolosa battaglia di Luigi Di Maio è un altro colpo all’Europa

Poco più di un anno fa, il Washington Post, edito da Jeff Bezos, decise di inserire accanto alla sua testata, in prima pagina, quattro parole utili a definire la missione che dovrebbe avere ogni buon giornale con la testa sulle spalle: “Democracy dies in darkness”, la democrazia muore nell’oscurità. In una democrazia, vigilare sullo stato democratico di un paese può apparire un ossimoro, specie poi se quella democrazia si chiama America. Ma a volte le democrazie sono vittime dei loro stessi successi e così può capitare che improvvisamente siano gli stessi attori democratici a muoversi per portare a poco a poco una democrazia nell’oscurità. Secondo il Washington Post, l’arrivo di Trump coincise con uno scombussolamento della democrazia americana. Ma Jeff Bezos evidentemente non sapeva che cosa sarebbe successo in Italia qualche mese dopo, con un vicepresidente del Consiglio di nome Luigi Di Maio. La storia, a proposito di “Democracy dies in darkness”, è questa.

 

Ieri mattina Di Maio ha partecipato a un convegno sull’innovazione organizzato dall’Agi e nel giro di pochi secondi, nell’indifferenza generale, ha offerto al pubblico le seguenti affermazioni. Primo: “Il nostro governo lavorerà per avere referendum senza quorum, propositivi, anche via rete e per far sì che questi strumenti possano diventare la normalità per i cittadini”. Secondo: “Dall’Europa arriva un pericolo che si chiama riforma del copyright. Una riforma che riporta due articoli che potrebbero mettere il bavaglio alla rete. Il primo prevede un diritto per gli editori, i grandi editori di giornali, di autorizzare o bloccare l’utilizzo digitale delle loro pubblicazioni introducendo anche una nuova remunerazione per l’editore. Il secondo impone alle società che danno accesso a grandi quantità di dati di adottare misure per controllare ex ante tutti i contenuti caricati dagli utenti. Cosa i cittadini devono sapere e cosa non devono sapere. Se non è un bavaglio questo ditemi voi cos’è un bavaglio”. La democrazia muore nell’oscurità quando nessuno osa mettersi le mani tra i capelli di fronte a un politico che propone di superare la democrazia rappresentativa per sostituirla con una forma raffinata di maoismo digitale camuffato da democrazia diretta – nella democrazia grillina, il parlamentare non ha diritto al voto segreto, non ha diritto al divieto di mandato imperativo, non ha il diritto di rappresentare il paese ma solo il partito, deve essere uno schiacciapulsanti ostaggio di un server solo al comando e sottomesso a minoranze emotive che lo guidano con un clic. Ma la democrazia muore nell’oscurità anche quando nessuno osa mettersi le mani tra i capelli di fronte a un politico che scommette sul principio dell’irresponsabilità della rete, che trasforma l’anarchismo senza regole del web in un valore da difendere e che piuttosto che considerare la tutela del copyright come una lotta utile a difendere la democrazia e la sua produzione pluralista di contenuti sceglie di fare altro. Sceglie di combattere per il principio opposto: sceglie di combattere contro il diritto d’autore e decide, cosa piuttosto grave per un ministro del Lavoro, che non sia necessario difendere la giusta remunerazione di tutti gli autori e di tutte le forme di creazione nelle piattaforme digitali. “Ci opporremmo (sic) con tutte le nostre forza (i refusi sono un diritto d’autore contenuto nel comunicato stampa ufficiale del Mise, ndr) a partire dal Parlamento europeo, siamo anche disposti a non recepire la direttiva se dovesse rimanere così com’è”. Di Maio probabilmente non sa che il testo dell’art. 13 proposto dall’europarlamentare Axel Voss prevede espressamente che l’implementazione delle misure tecniche richieste ai gestori di servizi di condivisione di contenuti per impedire la pubblicazione di opere di terzi debba essere “proporzionata” e tale da “garantire il giusto equilibrio tra i diritti fondamentali di utenti e titolari dei diritti”. 

 

Di Maio non sa che la norma votata pochi giorni fa in Parlamento prevede che i soli contenuti che dovranno essere rimossi sono quelli che corrispondono a opere protette dal diritto d’autore sulla base delle informazioni fornite dai titolari dei diritti. Non sa tutto questo e probabilmente finge di non sapere qualcosa di ancora più grave. Non sa o fa finta di non sapere che non può esistere un mercato libero e aperto se quel mercato non è regolato. Non sa che una democrazia che funziona è una democrazia in cui i produttori di contenuti vengono sostenuti e non combattuti. Non sa o fa finta di non sapere che produrre contenuti di qualità costa e che chi produce contenuti lo fa in vista di un ritorno economico che è più difficile avere se si trasforma l’anarchia della rete in una forma di tutela per tutti coloro che in modo parassitario sfruttano senza pagare il diritto d’autore altrui. Poco meno di un anno fa, nel suo straordinario discorso alla Sorbona, il presidente francese Emmanuel Macron mise al centro del suo inno alla gioia europeo un passaggio dedicato proprio al diritto d’autore. “Dobbiamo difendere il nostro diritto d’autore, e difenderlo ovunque esista un valore creato da un nostro cittadino. Dobbiamo difendere la giusta remunerazione di tutti gli autori e di tutte le forme di creazione nelle piattaforme digitali. Ciò che voglio per l’Europa non è semplicemente che affronti da protagonista la transizione digitale ma che costruisca un quadro che le permetterà di difendere i nostri valori e i fondamenti della nostra civiltà”. E dunque: “E’ accettabile che il nostro continente digitale sarà un continente dove il valore non è di chi lo ha creato ma di colui che lo trasporta fino al suo consumatore finale?”. Come è evidente, l’idea perversa cioè che ogni regola imposta al web sia un potenziale bavaglio per la nostra democrazia è alla base di una truffa dove il diritto d’autore è solo una delle vittime. La seconda possibile vittima è quella che ogni giorno ci ricorda il Washington Post sotto la sua testata. Mai come oggi conviene vigilare.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.