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La mala educación sovranista

Claudio Cerasa

Lavoro, produttività, burocrazia, diritto d’autore, giustizia. E ora la scuola, con la fine della chiamata diretta. Perché le idee da cui l’Italia deve difendersi non sono quelle dell’Europa ma sono quelle dell’Italia. La vera missione di Conte

Il presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, ieri mattina, alla Camera dei deputati, ha messo in fila le idee che il governo italiano presenterà tra oggi e domani al Consiglio europeo. Conte ha detto di volere andare a Bruxelles mosso dalla convinzione che “temi come il lavoro, la crescita, la competitività e l’inclusione sociale debbano essere affrontati con maggiore incisività dall’Unione”.

 

Ma nell’attesa di capire in che modo il governo italiano proverà ad avere un’Unione “più incisiva” triangolando con quei paesi che l’Unione la vogliono indebolire per renderla meno incisiva, può essere utile offrire al presidente del Consiglio un promemoria per comprendere perché gli ostacoli più grandi in materia di lavoro, di crescita e di competitività non vengono dall’Europa ma vengono proprio dall’Italia e in particolare vengono dalle idee portate avanti dagli azionisti del governo rappresentato dal professor Conte.

 

L’Europa può fare molto per aiutare l’Italia a essere più forte, ma se l’Italia non farà prima qualcosa per evitare di diventare più debole le dodici stelle della bandiera europea diventeranno sempre di più un alibi per coprire l’inaffidabilità delle cinque stelle leghiste del nostro paese. E dai primi passi mossi da Salvini e Di Maio ci sono buoni indizi per dire che le soluzioni proposte da Giuseppe Conte per risolvere alcuni dei problemi del paese rischiano non di migliorare ma di peggiorare i problemi che il governo Salvini-Di Maio ha promesso di migliorare.

 

L’Italia ha un problema legato a un diritto d’autore non sufficientemente tutelato e invece che promettere di tutelarlo a ogni costo il governo ha promesso che farà di tutto per non tutelarlo. L’Italia ha un problema legato a un sistema giudiziario all’interno del quale i processi durano troppo a lungo e invece che promettere di accorciare i tempi dei processi il governo ha promesso che farà di tutto per allungare i tempi della prescrizione. L’Italia ha un problema legato al lavoro che non si riesce a creare come si dovrebbe ma il governo italiano piuttosto che promettere di aiutare le imprese a creare più lavoro ha assicurato che si concentrerà con tutte le sue forze per sussidiare un reddito di cittadinanza che la ricerca del lavoro piuttosto che incoraggiarla la disincentiverà. L’Italia ha un problema legato a un grave deficit infrastrutturale (in base ai dati dell’indice di competitività del World Economic Forum, il nostro paese si posiziona solo al 27° posto su 137 paesi, dopo Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna) ma piuttosto che promettere un sostegno agli investimenti nelle grandi infrastrutture il governo ha promesso di rimettere in discussione proprio gli investimenti nelle grandi infrastrutture (modello Tav). L’Italia ha un grave problema legato a un sistema giudiziario che da anni triangola con gli strumenti del circo mediatico per rafforzare un mostro chiamato gogna e il governo piuttosto che promettere di disinnescare la bomba della forca assicura che farà di tutto per dare ai professionisti della cultura del sospetto nuovi strumenti per alimentare la gogna (guai a combattere le intercettazioni selvagge). E ancora. L’Italia ha un grave problema legato a una incapacità di migliorare la sua produttività (è il paese dell’Europa a 27 in cui la produttività è cresciuta meno nell’ultimo decennio a una media di poco superiore all’1,4 per cento, contro una media europea di quasi il 12 per cento) ma da quando il governo si è insediato si è dedicata molta attenzione all’emergenza dei costi della politica (Conte vi ha dedicato 1.342 battute nel suo discorso inaugurale) ma non si è dedicato un solo secondo al costo che ha per il nostro paese non parlare della sua più grave emergenza (Conte al tema ha prestato un’attenzione incoraggiante nel suo discorso inaugurale: zero parole). L’Italia, infine, ha un problema legato a un deficit di riforme utili a migliore la competitività del nostro paese (contrattazione aziendale, liberalizzazioni, concorrenza) e il governo piuttosto che attrezzarsi per rendere più competitiva l’Italia ha scelto di giocare con le leve del protezionismo per punire le aziende che proveranno a creare maggiore valore sfruttando i vantaggi della globalizzazione (e dunque, ha detto Di Maio, puniamo le aziende di stato che dopo aver ricevuto sussidi scommettono sulle delocalizzazioni).

 

Potrebbe bastare tutto questo per spiegare perché il governo Salvini-Di Maio potrebbe peggiorare e non migliorare alcuni problemi del nostro paese.

 

Ma al nostro piccolo elenco non può non essere aggiunta una scelta fatta dalla maggioranza gialloverde due giorni fa. Una scelta che coincide con la prima promessa mantenuta purtroppo da Lega e da Movimento 5 stelle e che ha un valore simbolico poderoso: l’accordo trovato dal ministro dell’Istruzione Marco Bussetti con i sindacati per far sì che il personale docente delle scuole secondarie venga assegnato dall’Ufficio scolastico territoriale all’istituto scolastico scelto solo attraverso la graduatoria e utilizzando i punteggi delle domande di trasferimento. Un accordo che smonta una delle norme più importanti della riforma sulla scuola approvata nel luglio del 2015 – quello che prevedeva la possibilità per i docenti di essere assunti anche attraverso la chiamata diretta – e che è stato giustamente elogiato dai sindacati (Flc Cgil, Cisl Scuola, Uil Scuola, Gilda) per essere “un atto che rende oggettivo e non discrezionale l’arruolamento”. Se vogliamo è attorno a questa scelta che si può mettere a fuoco con chiarezza l’essenza della pericolosità del contratto gialloverde. La formula della chiamata diretta conteneva alcuni princìpi importanti non solo per il nostro sistema scolastico. La progressiva responsabilizzazione dei presidi, il possibile affrancamento dalla dittatura dei sindacati, il tentativo di imporre l’idea che una scuola che funziona deve essere diversa da uno stipendificio simile a un grande ammortizzatore sociale in cui le promozioni possono avvenire non sulla base del merito ma solo sulla base dell’anzianità. Ora è tutto saltato – colpa del governo gialloverde, colpa anche di chi prima di questo governo non ha fatto di tutto per non svuotare la riforma. L’Italia ha insomma un problema legato a un eccesso di burocrazia e un difetto di merito e il governo italiano oggi si sta muovendo per ridare il potere a molte burocrazie che tendono a non essere le migliori amiche del merito. Vale sulla scuola. Ma vale anche sul resto. E quando in modo distratto vi capiterà di osservare quel termometro spietato ma efficace chiamato “spread” che misura il differenziale di rendimento tra i titoli di stato italiani e quelli tedeschi non potrete non notare qualcosa di importante.

 

Non potrete non notare che da settimane in modo graduale, come una goccia, lo spread italiano tende a peggiorare. Da aprile a oggi siamo passati da quota 128 a quota 250. Lo spread, lo sappiamo, misura ogni giorno la credibilità che ha un paese di fronte a coloro che dovrebbero investire in quel paese. Uno spread che sale ha un piccolo impatto sui costi di uno stato ma ha un grande impatto sui costi che deve sostenere un’impresa quando chiede un finanziamento a una banca. E il problema è dunque evidente: può stupire che un paese che offre soluzioni destinate a peggiorare i problemi dell’Italia sia considerato ogni giorno sempre meno credibile? La risposta forse la conoscete. Non ci resta che sperare che a partire da questo Consiglio europeo il nostro governo sia in grado di capire un elemento chiave: chi sono gli alleati che possono aiutare l’Italia a diventare più grande e chi sono gli alleati che possono aiutare l’Italia a diventare più piccola. Non è una questione di spread. E’ una questione di credibilità.

 

In bocca al lupo.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.