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Contro le opposizioni rubate all'agricoltura

Claudio Cerasa

Alternative allo sfascio inesistenti, ma da qui alle Europee c’è un’autostrada. Antidoti contro il partito della paura. Scriveteci, [email protected]

Da un lato ci sono le paure, dall’altro ci sono le soluzioni. E il risultato delle elezioni amministrative, in fondo, non fa altro che confermare quello che è chiaro ormai da mesi. In Italia ci sono due forze politiche che dimostrano di saper capitalizzare bene il rancore ma che allo stesso tempo dimostrano di non essere in grado di far fruttare il proprio capitale. Il Movimento 5 stelle vince dove non aveva mai vinto (Imola su tutti) ma dove aveva vinto non riesce più a vincere (oggi Quarto, ieri Mira, Ragusa, Licata, il III e l’VIII municipio a Roma) perché quando l’agenda della fuffa incrocia il principio di realtà non bastano gli algoritmi per nascondere una menzogna politica. La Lega, da parte sua, vince dove non aveva mai vinto (Pisa, Siena) ma un conto è avere le carte in regola per governare un comune (cosa che spesso la Lega ha), un altro è avere le carte in regola per governare un paese (cosa che spesso la Lega non ha). E le prime settimane di governo dimostrano che anche per il partito di Salvini il nemico più pericoloso rischia di essere ancora una volta il principio di realtà: se fai campagna elettorale promettendo discontinuità e poi sei costretto a promettere continuità prima o poi anche tu pagherai un prezzo. Da molti punti di vista (migranti, vaccini, euro, deficit, lavoro, pensioni) la truffa dei partiti anticasta può essere facilmente svelata, ma per metterla in mostra occorre qualcosa che in questo momento in Italia non c’è: chi ha il compito di creare un’alternativa deve fare di tutto per non porsi sulla scena con le sembianze dell’opposizione rubata all’agricoltura. E purtroppo è proprio quello che sta accadendo nel nostro paese.

 

La dimensione del dramma politico vissuto dall’opposizione non è tanto nello sconfortante risultato delle amministrative (Forza Italia esulta per una vittoria che vede solo Forza Italia, il Pd non minimizza una sconfitta locale che per dimensioni è qualcosa di epocale) ma è piuttosto nella traiettoria pericolosa imboccata da due partiti che non sembrano aver capito un problema semplice: all’epoca del governo dei populisti, un’opposizione incapace di dotarsi con tempismo di voci forti e riconoscibili è destinata ad alimentare una spirale perversa all’interno della quale le forze antisistema non solo non hanno alternative ma diventano loro stessi le uniche vere alternative del paese. E’ ancora presto per capire se il bipolarismo del futuro si svilupperà davvero all’interno del perimetro del governo (orrore) o si svilupperà in modo naturale tra chi sta oggi in maggioranza e chi sta oggi all’opposizione (sogno). Ma ciò che si può dire già oggi è che l’Italia è governata da un paradosso rischioso. Mai come oggi per le forze alternative a quelle populiste esiste un’autostrada da percorrere, ma mai come oggi l’autostrada che potrebbe essere percorsa somiglia a un dissestato cantiere con un progetto senza futuro. Vale per il Partito democratico e vale per Forza Italia. E qui non si tratta di giocare con le solite formule pseudo innovative buone per provare a rendere presentabile un’opposizione impresentabile. Si tratta di rendersi conto che quando una forza politica non ha le parole per dire quello che pensa significa semplicemente che non sta pensando nulla.

 

Essere banalmente antipopulisti, antisovranisti, antinazionalisti, antiprotezionisti, anti antieuropeisti vuol dire non aver capito che una nuova identità (leggete l’ultimo libro di Mark Lilla, “L’identità non è di sinistra”, Marsilio) non la si costruisce evidenziando un incubo imminente ma la si costruisce mostrando un sogno possibile, provando cioè a dettare un’agenda, facendo scouting, uscendo da Twitter e denunciando l’inconsistenza del progetto populista non con la formula del fact checking, vi dimostriamo perché siete incoerenti con le vostre promesse, ma con la formula del fact selling, vi dimostriamo con le nostre idee perché quello che volete fare all’Italia non è solo inutile: è semplicemente pericoloso. E ve lo dimostriamo imponendo una nostra agenda, imponendo i nostri volti, imponendo i nostri orizzonti, smettendola di giocare sulla difensiva, mettendo in campo una classe dirigente, non fighetta ma con i “maroni”, capace di fare quello che oggi nessuno riesce a fare: dimostrare che il problema dell’Italia non è dire all’Europa che senza l’Italia l’Europa non va lontano ma dimostrare viceversa all’Italia che senza l’Europa è l’Italia che non va lontano. Al termine del vertice di domenica scorsa, il presidente francese Emmanuel Macron ha condiviso con alcuni cronisti il suo smarrimento per la scomparsa “dell’altra Italia”. E se vogliamo il punto è proprio questo: dove è finita l’altra Italia? 

 

Se ci pensiamo bene, non c’è nulla di più pericoloso di avere un’opposizione senza voce in una fase politica come quella vissuta oggi dall’Europa in cui, come ha ricordato ieri sul Financial Times Edward Luce, in gioco non ci sono solo i destini di un paese ma c’è qualcosa di più: c’è l’esistenza stessa della democrazia liberale. Sulla comprensione delle paure, lo abbiamo visto, le forze antisistema hanno dimostrato di essere imbattibili. Ma quando dall’interpretazione delle paure si passerà alla declinazione delle soluzioni lo scenario cambierà in modo radicale e sarà chiaro a tutti che le soluzioni offerte per combattere le paure sono destinate a non aggravare i problemi dell’Italia solo a una condizione: quella di non mantenere le promesse elettorali. In Italia è in corso un’Opa ostile dei partiti di governo sui partiti di non governo. Chi sogna di non regalare il paese a Salvini e a Di Maio ha pochi mesi per trasformare le proprie chiacchiere in un sogno alternativo. Si vota a maggio, si vota per le europee, si vota per dimostrare che l’europeismo non è solo una bandiera da sventolare ma è un progetto in cui credere. Il discorso vale tanto per ciò che resta del centrodestra quanto per ciò che resta del centrosinistra. Non è tempo di pensare alle formule, all’algebra, alla cosmesi. Non è il momento di chiedersi se sia il caso o no di cambiare nome, di cambiare simbolo, di cambiare partito. E’ il momento di pensare alle idee da lanciare e ai volti su cui scommettere. C’è un 50 per cento di italiani che non ha votato e non è rappresentato. Ci sono undici mesi per costruire un’alternativa. Conviene uscire da Twitter e farsi due passi in città. Noi qualche idea su cosa andrebbe fatto per reagire contro la repubblica dello sfascio ce l’abbiamo ed è quello che leggete ogni giorno sul nostro giornale. Siamo curiosi di leggere le vostre idee. Come si costruisce un’alternativa? E soprattutto, con chi? Scriveteci qui: [email protected]. Lo spazio c’è. Il tempo pure. Conviene svegliarsi.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.