Maurizio Martina e Graziano Delrio (foto LaPresse)

Dopo la batosta il Pd scruta le mosse di Macron e Ciudadanos. E Martina?

Salvatore Merlo

Le alchimie macroniane di Calenda, quelle prodiane di Zingaretti. Renzi tace. Tra congresso e incubo europee

Roma. Carlo Calenda vorrebbe “andare oltre il Pd”, e probabilmente pensa a Macron e alla sua En Marche europea, mentre Nicola Zingaretti, il presidente del Lazio, tesse la trama congressuale di un centrosinistra largo, vecchia formula prodiana ma che a Roma ha funzionato. Matteo Renzi invece si misura con una sconfitta che vorrebbe attribuire agli altri, ma riconosce pure l’esigenza di un cambiamento, che nemmeno lui però sa bene che forma debba prendere. Ed ecco l’occhio delle telecamere che ingrandisce questa gente il giorno dopo la sconfitta alle amministrative, i loro volti e gesti, i mille obbiettivi di un ambiente che si dibatte in un’unica inimmaginabile confusione. 

 

A maggio del 2019 si voteranno le elezioni europee, e il rimescolamento degli equilibri elettorali in tutta l’Unione, con il prevedibile arretramento dei socialdemocratici del Pse, accende ambizioni e fantasie anche nel Pd frastornato dal secondo turno delle elezioni amministrative, le elezioni che hanno visto il centrosinistra sconfitto da Terni a Siena, e vittorioso soltanto ad Ancona, Brindisi e in due municipi del comune di Roma. L’anno scorso, in un intervento alla Sorbona, il presidente francese Emmanuel Macron aveva lanciato la suggestione di un grande nuovo rassemblement europeo, capace di interpretare nella modernità rumorosa dei populismi le istanze dell’europeismo e di un’identità progressista appannata dalla crisi della globalizzazione e dall’emergenza anomala dei nuovi sovranismi europei, che adesso governano un paese del G7 come l’Italia. E proprio di lunedì è la notizia che Ciudadanos, partito liberale centrista spagnolo, costituirà quasi certamente – assieme ai francesi di En Marche – un nuovo gruppo a Bruxelles, l’aggregazione primigenia, sembrerebbe, di questa formazione politica europea, immersa nel brodo primordiale da cui tutti pensano verrà fuori la nuova politica europeista destinata a contrapporsi a nazionalismi in Italia e in Austria, ma pure in Francia e in Germania. Ed ecco allora che la prospettiva europea, e l’immaginazione di Macron, precipitano anche sull’Italia, e sul suo centrosinistra sconfitto, periclitante, impaurito, sospeso tra confuse ipotesi di rinnovamento e la tentazione latente di abbandonarsi a un’ultima, probabilmente suicidale, finale battaglia di nomenclatura per spartirsi quel che resta del Pd. Venerdì prossimo, Sandro Gozi, l’ex sottosegretario agli Affari europei, aprirà la summer school di Ciudadanos, a Madrid. E sono piccole mosse, segnali di un lavorìo intenso.

 

E allora da un lato c’è Calenda, che si muove con la libertà spensierata di uno che la tessera del Pd l’ha presa da poco, senza affezione per riti e appartenenze, codici e bandiere, nominalismi e congerie d’apparato, attratto com’è dall’energia di Macron e sospinto forse dall’idea che tutto si possa rivoltare, e che basti volerlo. Dall’altro lato Renzi, che manda avanti i suoi a sottolineare che lui in campagna elettorale non c’ha messo la faccia, anche lui in contatto con i francesi, ma frenato dall’incognito: si può abbandonare il Pse, il Partito socialdemocratico europeo, e quali sarebbero le conseguenze? Certamente la cancellazione del Pd, non solo come marchio sul mercato elettorale. E converrebbe? Chissà. E poi c’è Zingaretti, che agita nell’alambicco della politica formule antiche e sperimentate, e allora dice che “c’è un lavoro collettivo da realizzare”, e che “deve partire subito e coinvolgere non solo il Pd”, perché il suo disegno strategico è quello del centrosinistra vecchia maniera, dell’Ulivo e dell’Unione, l’alleanza che a Roma, adesso, in due popolosi municipi, l’VIII e il III, dopo primarie in cui hanno perduto i candidati del Pd renziano, ha visto vincere addirittura un candidato che viene dalla militanza nei centri sociali.

 

“Ora si sviluppa l’ennesimo dibattito, cioè se si riparte dal Pd o da qualcosa di diverso dal Pd. Ma al di là delle sigle contano gli uomini e le donne che in questo momento si tirano su le maniche con molto altruismo, senza pensare al proprio potere personale”, dice il sindaco di Milano, Beppe Sala. Ma la sinistra, si sa, non ama ipotesi di tranquillità ombelicale. E’ uno spettacolo di salti, piegamenti, contorsioni, smorfie, giravolte, semi convulsioni, sul cui sfondo resta un congresso che, raggiunto il climax della confusione e dell’intreccio sinfonico dei toni, potrebbe premiare chi resta invece fermo, zitto, immobile come un geco alla parete: Maurizio Martina, l’attuale segretario reggente. Che ci spera.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.