Alfonso Bonafede. Foto LaPresse/Fabrizio Corradetti

La dottrina Bonafede sulle opere pubbliche (Tav e dintorni): non farle

David Allegranti

“Il nostro programma resta quello di rivedere tutte le grandi opere inutili”, dice l'aspirante ministro della Giustizia del M5s

Roma. Tav? Nuovo aeroporto? Grandi opere varie e diffuse? Macché, la “dottrina Bonafede” non lo permette. Laddove Bonafede è Alfonso, aspirante ministro della Giustizia del M5s, molto vicino a Luigi Di Maio e a Virginia Raggi, cui presta assistenza sociale, nonché ex candidato del M5s a Firenze contro Matteo Renzi. Lunedì scorso su Italia7, incalzato dal giornalista del Corriere Fiorentino Marzio Fatucchi, Bonafede ha esposto la sua teoria sul futuro di alcune grandi opere della Toscana in caso di governo a Cinque stelle: “Il nostro programma resta quello di rivedere tutte le grandi opere pubbliche inutili. Anche quelle già decise: nei margini in cui si può fare”. Per Bonafede l’esempio è quello dello stadio di Olimpico di Roma. “A fronte di un progetto folle, ma molto avanti nel procedimento, non avendo margine per tornare indietro, lo abbiamo migliorato. Abbiamo evitato un milione di metri cubi di cemento, ridotti a metà, con un progetto di altissimo livello ambientale”. Ma Tav e aeroporto in Toscana sono una questione che va avanti da anni (l’ampliamento del Vespucci da almeno 30) e proprio di recente il ministro dell’Ambiente ha dato il via libera per potare via le terre di scavo per il sottoattraversamento dell’Alta velocità.

  

L’aspirante ministro Bonafede non è però molto interessato all’argomento. “Se l’opera è stata decisa nel 1995 e stiamo ancora a parlarne non è perché si è perso tempo ma perché l’opera è stata decisa in modo folle”. A Bonafede, peraltro, non sembrano interessare neanche le conseguenze. Ci sarebbero infatti delle penali molto salate da pagare. Un po’ come nel caso del termovalorizzatore di Parma: il M5s, quando Federico Pizzarotti era ancora nel partito di Casaleggio, fece campagna elettorale annunciandone lo stop, ma poi fu costretto alla retromarcia. “I cittadini spendono molto di più per fare l’opera”, dice Bonafede. E dire che Luigi Di Maio in campagna elettorale era arrivato a rincuorare gli imprenditori e le associazioni di categoria spiegando di voler “lasciare in pace le imprese” e ottenendo riscontri positivi dentro Confindustria.

  

“Il loro leader Luigi Di Maio venne a Firenze e disse che avrebbe lasciato in pace chi voleva sviluppo. Bonafede dice l’opposto. Ma l’ambiente non è un vincolo allo sviluppo. Nessun imprenditore vuole ammazzare l’ambiente”, dice amareggiato il capo degli industriali di Firenze Luigi Salvadori. L’apertura nei confronti degli imprenditori è già finita? Serviva soltanto a prendere qualche voto per le elezioni? Non stupisce in effetti. Bonafede ha cominciato la sua carriera politica e professionale al fianco dei No Tav (i Cinque stelle in Toscana hanno storicamente una componente movimentista di sinistra), denunciando da anni costi maggiorati “di circa 6 volte” e proponendo come alternativa il passaggio in superficie. Insomma, i vari comitati sono la constituency di Bonafede, che non può – al netto dei toni vagamente democristiani di Di Maio – far finta di nulla. “Bonafede e i 5 Stelle hanno scoperto le carte e ribadito cosa vogliono essere a Firenze, il partito del ‘No’, e non sarà un caso se proprio lui è arrivato terzo nel collegio uninominale di Firenze con il 19 per cento dei voti. Dire No ad aeroporto, alta velocità, terza corsia e stadio sembra solo una ripicca verso la città che lo ha bocciato politicamente”, dice il deputato Gabriele Toccafondi. “Ma con le vendette non si fa politica, la città e tutta la Toscana hanno bisogno di opere pubbliche fatte bene, che siano utili, che portino sviluppo, lavoro, occasioni per far crescere la città e nuove opportunità per i fiorentini. I Cinque stelle sembrano incarnare ormai l’immobilismo, meglio non fare niente e bloccare tutto ciò che si è iniziato. Ma così si fa morire una città di eutanasia”. E se la “dottrina Bonafede” venisse applicata davvero una volta al governo a livello nazionale?

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.