Quel viaggio grillino in Valsusa per rassicurare i No-Tav

Valerio Valentini

Le trattative col Pd, la svolta governista e i tatticismi di Di Maio: ecco come il M5s ha rischiato di rompere con la sua base

Roma. Ora che il pericolo sembra più o meno definitivamente scampato, anche gli animi si sono rasserenati: e le tensioni accumulate finalmente svaniscono, insieme ai sospetti di un tradimento imminente. E insomma a vederle dalla Valsusa, le estenuanti trattative che si protraggono dal 4 di marzo, si capisce bene quanto il tentato approccio tra il Movimento 5 stelle e il Pd sia stato drammaticamente pericoloso, per Luigi Di Maio.

  

Anche le coincidenza temporali, a loro modo, seno emblematiche. E’ lunedì 30 aprile, il giorno che segue all’intervista rilasciata da Matteo Renzi a Fabio Fazio: quella della chiusura. Tra i grillini, specie tra quelli più fedeli a Roberto Fico, c’è però chi ancora ci crede, nella possibilità di costruire un governo insieme ai dem, c’è addirittura chi fa notare che il vero veto, l’ex premier, l’ha posto solo su una eventuale premiership di Di Maio, non su un’intesa in generale. Paola Nugnes, senatrice assai vicina al presidente della Camera, arriva a ddirittura a scrivere su Facebook: “Io credo si dovrebbe fare uno sforzo per provare a trovare le ragioni comuni di un accordo di governo”. Come a dire: insistiamo, crediamoci. Di lì a poco, però, il capo politico del M5s pubblicherà un video in cui, di fatto, stronca qualsiasi residua ipotesi di alleanza tra i grillini e i dem. E questa è cosa nota. Quel che invece ancora non è stato detto, è che in quelle stesse ore una delegazione pentastellata, composta da importanti parlamentari, è in viaggio da Roma alla volta di Torino, e poi ancora più sù, fino in Valsusa. Obiettivo della trasferta? Incontrare i vertici dell’altro Movimento, quello No-Tav, che proprio in quei giorni ha cominciato a guardare con somma diffidenza al dialogo intavolato da Di Maio con i dirigenti del Pd. Partito che, tra Venaus e Bussoleno, resta quello dei nemici giurati: quello delle grandi opere inutili, quello degli stupri ambientali, quello della Tav.

 

L’allarme, a Roma, era stato fatto arrivare dai militanti grillini piemontesi, che nei giorni precedenti si erano visti tempestati di messaggi e telefonate. “Ma come? Ci alleiamo con quelli che abbiamo sempre contestato?”, domandavano, indignati, gli attivisti valsusini. Ma erano domande che contenevano, più che l’ansia di un chiarimento, l’invettiva dell’accusa. “Vi state svendendo per andare al governo, state rinunciando alla vostra stessa natura per qualche poltrona”, si erano sentiti rinfacciare i portavoce pentastellati di Pinerolo e di Torino. Il tradimento, del resto, sembrava doppio, visto che proprio a ridosso del 4 marzo, al termine di un dibattito interno piuttosto vivace e per nulla pacifico, era stato lo stesso Alberto Perino, leader storico dei No-Tav, a farsi da garante verso i suoi compagni di lotta sulla bontà del M5s, anche di quello più recente, istituzionale, moderato. In tanti, in Valle, propendevano per il sostegno a Potere al Popolo, ed era stato necessario che Perino in persona facesse un appello al “voto utile” per ricompattare la base in favore del M5s.

 

E allora ecco la necessità del viaggio, in quel 30 di aprile: l’importanza di vedersi, faccia a faccia, per un chiarimento. Le rassicurazioni, a quanto pare, sono servite, la concordia è stata subito ritrovata. Anche perché, dopo tutto, nel frattempo Di Maio chiudeva il forno del Pd, e lo spauracchio del voltafaccia d’improvviso si sgretolava. “Ci hanno tranquillizati, certo. Ci hanno garantito di essere rimasti sempre gli stessi, e che il dialogo col Pd era stato avviato solo in virtù della richiesta di Sergio Mattarella”, raccontano ora dal Movimento No-Tav, con l’aria di chi però al sollievo non cede del tutto, ma resta guardingo a valutare la solidità delle garanzie ricevute. Non dice nulla, invece, Perino, che preferisce non commentare. Così come nella riservatezza si rifugiano i parlamentari grillini mandati in avanscoperta. Solo un deputato, quasi a dar sfogo all’ansia accumulata, dopo aver tuttavia precisato che lui in Valsusa non è andato, confessa: “Quando dicevamo che l’apertura al Pd, per la nostra base, rischiava di essere devastante, mica scherzavamo”. E a giudicare dal suo sbuffo d’ansia, viene da credergli.

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