Tomaso Montanari e Paolo Berdini (eleborazione grafica del Foglio)

Il sogno proibito di Montanari e Berdini: un governo Pd-M5s

Massimo Solani

Per lo storico dell'arte, critico della prima ora dei Democratici, sarebbe “un gesto di dignità per evitare l’ignominia dopo il disastro elettorale”. L'ex assessore della Raggi, oggi in polemica col Movimento, invece vuole mettere alla prova i grillini

Per l’uno, Renzi e il Pd sono come il fumo negli occhi, la causa primigenia di quasi tutti i mali recenti del Paese. L’altro che pure li ha visti al lavoro dentro le segrete stanze del Campidoglio, o forse proprio perché li ha visti al lavoro dentro le segrete stanze del Campidoglio, non esita invece a definire la sua collaborazione con il Movimento 5 Stelle romano “una speranza fallita” per colpa di una corte dei miracoli di poteri oscuri “come quelli riconducibili allo Studio Sammarco”.

 

Il primo è assessore capitolino mancato e mancato ministro della Cultura in un ipotetico (e improbabile) governo Di Maio, “perché – dice - non c’erano le condizioni e non potevamo intenderci sulla Costituzione, che per me va applicata e non modificata, soprattutto in quella fondamentale previsione sul divieto di vincolo di mandato inserito dai padri costituenti nell’articolo 67”. Il secondo, invece, l’assessore l’ha fatto “nonostante tanti me lo avessero sconsigliato a partire da Paolo Flores D’Arcais” e si è dovuto dimettere dopo sette mesi, travolto dai giudizi sprezzanti dati nei confronti della sindaca e della giunta di Virginia Raggi in una intervista concessa alla Stampa e goffamente smentita e in coda ad un lunghissimo braccio di ferro che l’ha visto sempre in minoranza, isolato e sconfitto su ogni questione. Dal nuovo stadio della Roma alle Olimpiadi.

 

“Ogni votazione finiva 9 a 1, era complicato andare avanti”, dice. Eppure, oggi, lo storico dell’arte Tomaso Montanari e l’urbanista Paolo Berdini su una cosa concordano pur partendo da posizioni piuttosto distanti e diverse: il Partito Democratico deve fare un accordo di governo per consentire la nascita di un esecutivo a guida Cinque Stelle. “Perché altrimenti fanno l’accordo con la Lega ed è una prospettiva che va evitata ad ogni costo”, dicono in coro seduti al tavolo del centro sociale autogestito Astra a Roma al termine della presentazione del libro di Paolo Berdini “Roma, polvere di stelle. La speranza fallita e le idee per uscire dal declino”.

 

Montanari, del resto, l’ha detto chiaramente. Per il Partito Democratico fare da stampella a Luigi Di Maio “sarebbe un gesto di dignità”, un modo di “evitare l’ignominia dopo il disastro elettorale”. La dignità, verrebbe da dire, di mettersi a disposizione di un Movimento che negli ultimi 5 anni ha coperto di contumelie e accuse il Pd e “l’inciucio” che ha sorretto i governi Letta, Renzi e Gentiloni. “Ma vengono adesso a rivendicare purezza – accusa – dopo che hanno governato fino a ieri prima con Berlusconi e poi con Alfano? La risposta del Pd a quello che sta cercando di fare il Movimento, ossia di muoversi dentro le dinamiche della democrazia parlamentare, denota una totale ignoranza della democrazia stessa”. Insomma, le condizioni ideali per fidarsi l’uno dell’altro e cercare un accordo di collaborazione di governo. Ma se Montanari, fallito con velocità da record il tentativo palingenetico del Brancaccio, continua a strizzare l’occhio al Movimento quasi fosse “una costola della sinistra” (la definizione di Massimo D’Alema sulla Lega di Umberto Bossi è tornata di attualità proprio in queste ore in cui anche il Carroccio ammicca al Pd a caccia di sostegno), la “cotta” di Paolo Berdini per i grillini sembra già svanita. E lo dice apertamente dialogando con quel pezzo di sinistra romana vicina ai movimenti che anche grazie all’annuncio del suo ingresso nella futura giunta Raggi aveva sostenuto più o meno apertamente la corsa al Campidoglio della sindaca.

 

“Io ho visto le carte di quella che ci pareva una prospettiva di cambiamento e rinnovamento – ammette l’ex assessore capitolino all’Urbanistica – e ho visto una mancanza di concezione culturale che non riusciranno certo a colmare neanche in un tempo medio lungo. Ho visto l’improvvisazione al potere di un contenitore che pensavo si potesse riempire di contenuto grazie all’apporto di esperti e personalità esterne. Quando arrivavo in Campidoglio – prosegue – avvertivo la sensazione del “bunker”. Non c’era nessuna comunicazione con l’esterno, nessuno scambio di informazioni, nessuna apertura alla realtà di fuori il palazzo. Si sono presi una cinquantina di addetti stampa solo per non far trapelare niente”. Nonostante questo, però, la ricetta di Berdini è chiara: “Mi auguro che riescano ad andare al governo, così capiranno che governare è un po’ più complicato”. Peccato sia la stessa cosa che si diceva a Roma prima dell’elezione di Virginia Raggi.

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