Pier Ferdinando Casini allo stadio con la sciarpa del Bologna (foto LaPresse)

I Casini di Bologna

David Allegranti

Viaggio nel capoluogo emiliano, dove è in scena la crisi di coscienza dell’elettore di sinistra. Duello fra l’ex leader Udc e l’ex capo della “ditta” Vasco Errani. I Cinque stelle rincorrono

Bologna. La crisi di coscienza dell’elettore di sinistra bolognese sarà stampata direttamente sulla scheda del Senato il prossimo quattro marzo: votare Pier Ferdinando Casini, ex alleato di Berlusconi e oggi coalizionista del Pd, o Vasco Errani, uno dei capi della “ditta” e oggi tra i leader di Leu, teorico e pratico insieme a Pier Luigi Bersani del famoso “modello emiliano” già elogiato da Matteo Renzi all’Opificio Golinelli nei giorni scorsi? Il tessuto politico è cambiato da tempo, almeno da quando nel 1999 Giorgio Guazzaloca divenne il primo sindaco non comunista a conquistare la città, ma il dilemma disturba il sonno del Pd e anche quello dei dirigenti locali della Cgil, che in tutta la provincia conta su 170 mila tesserati (dati 2016) e che ha contribuito alla costruzione del “modello emiliano” insieme ai cosiddetti “poteri forti”. Un modello formato da un triangolo: il comune, dunque il partito, il sindacato, gli imprenditori.

 

Il leader centrista punta
sullo schema populisti/antipopulisti: non votate me ma contro
il centrodestra di Matteo Salvini

“I poteri forti – dice il politologo Gianfranco Pasquino al Foglio – sono sempre stati interlocutori, perché il vero potere forte è sempre stato il Comune e quindi il partito comunista” e i suoi eredi, almeno fino allo sbriciolamento definitivo con l’elezione di Guazzaloca. “Quello che i poteri forti – forti perché competenti, capaci – hanno sempre voluto e spesso ottenuto è la prevedibilità dei comportamenti politici. Se i politici locali dicevano: vogliamo sviluppare quest’area, si sapeva che lo avrebbero fatto. E ciò consentiva agli industriali di avere una prospettiva. Questo è stato il modello emiliano. Agli imprenditori si diceva: non c’è problema, voi non avrete scioperi, però dovrete investire in queste aree nelle quali noi vogliamo avere sviluppo. E funzionava. L’Emilia è una regione socialdemocratica ma senza saperlo e senza poterlo dire, perché nessun comunista in Emilia ha mai detto ‘io sono un socialdemocratico’. Ma si trattava della miglior politica svedese o norvegese: il triangolo tra un potere che sta al governo e garantisce la prevedibilità dei suoi comportamenti e i due attori, sindacati e imprenditori, che prendono atto di quanto sia inutile andare allo scontro, perché non serve”. Certo è che se nel 1956, l’anno della candidatura di Giuseppe Dossetti al Consiglio comunale di Bologna, le elezioni le avesse vinte la Dc, tutto sarebbe stato molto diverso. Ma il mondo, in qualche modo, cambia lo stesso: oggi il Pd candida nelle sue liste – come alleati, certo – Casini a Bologna, Beatrice Lorenzin a Modena e Sergio Pizzolante a Rimini. Più che l’evoluzione o snaturamento del Pd, a seconda dei punti di vista, c’entra il fatto che i posti a disposizione in tutta Italia sono pochi e che nonostante tutto l’Emilia Romagna, insieme alla Toscana, è ancora una regione sicura per paracadutare e far eleggere persone.

 

Domani dibattito sull’economia
alla Johns Hopkins con Bagnai (Lega), Guerra (LeU)
e Nannicini (Pd)

Todo cambia, d’altronde: nel 2012 Matteo Renzi diceva mai con Casini, oggi lo candida a Bologna, scatenando appunto le crisi di coscienza dell’elettorato più o meno progressista. Forse sono solo preoccupazioni da addetti ai lavori, intanto però l’ex presidente della Camera, fino all’altro ieri impegnato nella Commissione banche a Roma, ha ribaltato la questione: non si tratta di votare me, ma di non votare il centrodestra a trazione Matteo Salvini. Un appello doppio, che vale sia per l’elettorato del Pd tentato di rivolgersi altrove, sia per l’elettorato di centrodestra che con il cattivismo salviniano non vuole averci nulla a che fare. L’estremismo della Lega è ben presente anche nella scelta delle candidature: capolista alla Camera nella città delle Due torri è Gianni Tonelli, segretario del Sap, Sindacato autonomo di polizia, già noto per le sue sortite contro Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi e le loro famiglie. “Non è difficile capire perché sto nella coalizione di centrosinistra”, ha risposto l’ex presidente della Camera a Silvio Berlusconi che si domandava che cosa ci facesse l’ex compagno di viaggio coi comunisti. “Perché ritengo che il suo alleato Matteo Salvini e i Cinque stelle siano i pericoli numero uno per gli italiani”. Lo schema antipopulisti/populisti basterà a contenere l’insofferenza degli elettori del Pd? Chissà, intanto Casini è quello che si sta divertendo più di tutti, notava ieri Olivio Romanini sul Corriere di Bologna. L’incontro di domani alla Johns Hopkins University tra responsabili nazionali della politica economica di tre coalizioni aiuterà a capire molte cose. Per il centrodestra ci sarà Alberto Bagnai (Lega), per Liberi e Uguali Maria Cecilia Guerra e per il Pd Tommaso Nannicini. Gli organizzatori avevano invitato anche Lorenzo Fioramonti per il M5s, ma alla fine si è sfilato, e avevano chiesto a Forza Italia di partecipare al dibattito. Per ora il partito di Berlusconi ha preso tempo. Il perché è evidente: avere contemporaneamente in un dibattito pubblico Bagnai, teorico dell’uscita dell’euro, e un esponente di Forza Italia con posizioni ben più moderate su Unione europea e moneta unica, metterebbe in evidenza tutti i limiti dell’alleanza di centrodestra. Casini insomma può sfruttare questa linea di frattura.

 

Gli elettori di sinistra a Bologna, dice al Foglio Pasquino, “ne hanno già viste molte”, anche solo alle amministrative. “Hanno tollerato Guazzaloca che ha vinto, e ha vinto elezioni libere e competitive. Dopodiché hanno subìto Sergio Cofferati, che non era uno di loro. Poi hanno eletto Flavio Delbono, che ha dovuto andarsene perché aveva fatto delle cose che non doveva fare. Si sono trovati con un commissario, Annamaria Cancellieri, e adesso hanno Casini, che è uno della città; è uno che in città c’è, la rappresenta, lo si vede”. Organico alla “ditta” ma di recente molto ondivago (renziano, antirenziano, boh) è invece l’attuale sindaco Virginio Merola. Quanto a Casini, dice Pasquino, è “fortemente estraneo alla cultura politica comunista, che però si è annacquata, è evanescente; non c’è più una cultura comunista riformista vera. Quei tempi sono passati. Rimane però il fatto che doversi ingoiare Casini e avere dall’altra parte Errani, che è stato un buon presidente di regione, che non è mai andato sopra le righe e non è antagonizzante, che in fondo è un uomo capace e oserei dire anche decente, be’ questo qualche problemino lo procurerà all’elettore comunista medio. Oltretutto non so se l’elettore democristiano medio andrà a votare Casini

Per contenere i malumori, il Pd candida Cantone dello Spi-Cgil
e anche il segretario di federazione, spuntato nottetempo

nelle liste del Pd. Questo è il vero interrogativo: quanti lo seguiranno?”. Insomma anche i democristiani hanno a disposizione una loro crisi di coscienza. Vero è però che il Pd nelle sue liste – seppur in altri collegi – ha messo, per contenere il malumore della sinistra, Carla Cantone, già segretaria dello Spi-Cgil, i pensionati della Cgil, e il segretario di federazione Francesco Critelli (una scelta, peraltro, come vedremo più avanti, che ha stupito molti nel Pd per le modalità con cui è stata raggiunta). La candidatura di Cantone al plurinominale alla Camera a Ferrara-Modena in seconda posizione dietro Piero Fassino e a Imola-Bologna in prima posizione non è secondaria. Anche perché Bologna per il Pd non è una città qualsiasi, dato che da qui viene l’ex responsabile economico nazionale, Filippo Taddei, coautore insieme a Tommaso Nannicini del Jobs Act, che Renzi considera una delle proposte di punta del suo governo. Per capire però eventuali spostamenti di voto e rapporti di forza bisogna tenere d’occhio alcuni numeri e farsi qualche domanda. Per esempio, gli anziani nel collegio senatoriale di Bologna sono più che altrove, che faranno? Secondo i dati di Quorum/YouTrend contenuti in rosatellum.info, la popolazione anziana qui è superiore alla media nazionale: gli over 65 sono il 25,2 per cento contro il 20,8 del resto d’Italia. “In generale – dice al Foglio Salvatore Borghese di Quorum/YouTrend – gli anziani sono quelli che vanno a votare più della media, rispetto ad altre fasce d’eta. Gli over 65 sono l’unica fascia in cui il Pd è ancora (piuttosto largamente anche) primo partito nelle intenzioni di voto. Renzi ha candidato la segretaria dello Spi-Cgil proprio per coprirsi su questo fronte, ma non in quel collegio”. Considerando solo lo storico, “la sinistra non ha un potenziale enorme, nemmeno nel collegio di Bologna. Consideri che con lo swing che applichiamo basandoci sugli storici 2013 e 2014, Leu comunque sta sotto il 10 per cento”. Insomma, “Errani avrà sicuramente un valore aggiunto, e Casini probabilmente farà da zavorra, ma è molto difficile che si invertano le posizioni. Il dubbio è: se Errani toglie voti al Pd, questo renderà il collegio competitivo per il centrodestra o – addirittura – per il M5s?”.

 

 

Per provare a rispondere a questa domanda bisogna chiedersi anzitutto che cos’è oggi Bologna, un tempo la città che ha dato vita all’Ulivo nato attorno al Mulino (tante cose: pensatoio, rivista, casa editrice), e chiedersi se sia ancora politicamente rossa. “E’ difficile sostenere che sia ancora una città in gran parte di sinistra”, dice al Foglio Bruno Simili, vicedirettore della rivista il Mulino. “Certo, al di là dei consensi elettorali, non lo è più a maggioranza da un pezzo. E dunque no, definirla politicamente rossa equivale a una forzatura. Dopo di che, per fortuna, resta una città con una vena progressista, in grado di produrre un pensiero critico, di interrogarsi e non dare per scontate le appartenenze tradizionali. Ma rossa non lo è più da molto tempo”. Difficile fare previsioni sull’esito del duello Casini-Errani. Anche perché la decisione, dice Simili al Foglio, è stata presa “tutto sommato meglio di quanto ci si sarebbe potuti aspettare. Ma questo non perché non sia stata sofferta, quanto perché anche qui assistiamo a un progressivo disinteressamento dei fatti della politica decisi dalla politica. Dentro al Pd c’è malumore, ma gli indisponibili anche solo a considerare l’opzione Casini il partito lo hanno abbandonato da tempo. Chi è ancora attento a quanto accade è rimasto colpito, più in generale, dalla scelta autoritaria del segretario nazionale che in una notte ha buttato giù dalla torre candidati dati per certi recuperandone altri non previsti. Su Bologna, la decisione di candidare in Parlamento il segretario del Pd bolognese, riconfermato dopo molte polemiche solo l’autunno scorso, ad esempio, ha stupito molti”. Fino alla sera prima, infatti, Francesco Critelli, segretario del Pd, originario di Catanzaro, non era neanche nel toto-nomi dei giornali. Poi all’improvviso è finito in lista, scalzando altri aspiranti candidati. A Bologna, ma anche a Benevento. “Ha fatto l’arbitro-giocatore”, spiegano fonti al Foglio. “Ha dato il via libera a Casini in cambio della sua candidatura”. Fuori alcuni uscenti, come Sergio Lo Giudice, esponente di spicco della comunità Lgbt, e altri che avrebbero potuto tornare in Parlamento, come il politologo Salvatore Vassallo. Dentro la già citata Carla Cantone, ma anche Teresa Bellanova, candidata al plurinominale al Senato a Bologna-Ferrara-Ravenna-Rimini. A un certo punto della trattativa era fuori Sandra Zampa, storica portavoce di Romano Prodi, ma lo “spirito santo” del Professore l’ha recuperata. In lista, il Prof. è riuscito a mettere tre dei suoi: Zampa, Serse Soverini, uno dei “ragazzi del ’96” che costruirono l’Ulivo, è candidato all’uninominale a Imola, e Sandro Gozi, candidato al plurinominale alla Camera a Forlì-Cesena-Rimini.

 

Il “potere” del vecchio partito,
i dilemmi della Cgil, il ruolo dell’elettorato anziano, la rinuncia
a combattere di Forza Italia

Non è passata inosservata l'uscita del Professore dell’altro giorno su Leu (“Liberi e uguali non è per l’unità del centrosinistra. Punto”, mentre “Renzi, il gruppo che gli sta attorno, il Pd e chi ha fatto gli accordi con il Pd sono per l’unità del centrosinistra”) che ha sortito un effetto, far arrabbiare Bersani & soci. Oltre a una difesa pubblica nei confronti dei suoi, è diventato, di fatto, anche un assist per Casini. E qui si torna al dilemma dell’elettore pd. Anche perché dall’altra parte non c’è Massimo D’Alema, con i suoi baffetti risentiti, ma Errani, al quale la patente di antirenziano non sta bene. Errani, dice Simili al Foglio, rappresenta “il Partito, sino a poco tempo fa. Se si va con la memoria alla campagna che lo riconfermò presidente della regione Emilia-Romagna è difficile immaginare lo strappo che sarebbe poi arrivato nel 2017, quando Errani ha deciso di abbandonare il Pd. Dopo aver guidato la regione per quasi dieci anni, è uscito bene da una brutta vicenda giudiziaria e complessivamente ha saputo gestire il dopo terremoto in Emilia. Le critiche non sono mancate, come sempre. Ma complessivamente credo che l’immagine sia quella di un uomo capace e ancora legato alle sue origini politiche. Certo molto distanti da quelle di Casini, un uomo della sua stessa generazione, che passato un decennio di attività nella Dc, dopo Tangentopoli scelse senza esitazione di schierarsi con Berlusconi. Credo che, nonostante tutto, vicende politiche così differenti contino ancora, in chi deve scegliere”. 

 

Per molti elettori di quel che resta della Bologna rossa, dice al Foglio Salvatore Vassallo, ordinario di Scienza Politica a Bologna, “soprattutto anziani, dover scegliere tra Casini ed Errani sarà irritante. Il secondo fu individuato da Bersani come suo erede di fatto già nel 1997 e dal 1999, per quindici anni, non è stato solo presidente della regione. E’ stato il perno principale del ‘partito emiliano’, amato e rispettato dal popolo delle feste dell’Unità. Casini negli stessi anni è stato alleato di Berlusconi in tutti i passaggi più criticati da politici ed elettori di centrosinistra. Gli anziani elettori di quel che resta della Bologna rossa lo ricordano sicuramente, ancora prima, come esponente della destra democristiana, come allievo e braccio destro di Forlani. Ma Errani, che ha sempre aderito alla dottrina secondo cui prima di tutto viene ‘l’unità del nostro popolo… intorno al segretario in carica’, si presenta ora come quello che, insieme a Bersani e altri scissionisti, divide il fronte e favorisce il centrodestra con il solo obiettivo di far del male al segretario del Pd”. Casini “si presenta invece come uno che ha rotto con Berlusconi quando gli costava farlo, che ha poi sostenuto tutti i governi a guida Pd e ha tenuto la linea perfino sul referendum costituzionale. Infine, come parlamentare e oratore è un gigante, rispetto alla media dei candidati. Difficilissimo fare previsioni. Mi aspetto che Errani porti a LeU qualche voto in più, che Casini produca un po’ di astensioni aggiuntive tra i democratici parzialmente compensate dal voto centrista ma che nel complesso l’equilibrio nel collegio di Bologna non sia drammaticamente diverso rispetto al resto della regione”. Occhi puntati insomma sulla popolazione anziana. Arturo Parisi, figlio adottivo di Bologna e teorico ulivista, dice che l’elettorato la sta prendendo “in larga parte male. Anche se solo una parte arriverà a negare il proprio sostegno al partito pur di non fare transitare il proprio voto a favore della elezione di quello che, più di ogni altro, è stato l’orgoglioso avversario della stessa idea di centrosinistra più ancora che della stessa sinistra”. Tuttavia, dice Parisi, “non credo che alla fine il totale sarà a favore di Errani. Ma non vorrei che alla somma di Casini mancassero troppi voti, sufficienti a favorire altri”. Il centrodestra, da par suo, ha però scelto di non intromettersi troppo nel duello all’uninominale. Come candidata contro Casini ed Errani è stata scelta Elisabetta Brunelli, una “civica” che però non viene considerata molto competitiva. “Qui Forza Italia ha rinunciato a far crescere una classe politica”, dice Pasquino al Foglio. “Infatti la volta scorsa con i miei sberleffi ha candidato Franco Carraro, che ha vinto. Naturalmente Carraro non ha mai rappresentato nulla in città e neanche ci veniva. La Lega non ha rinunciato ma non trova le persone giuste”. Un tempo c’era un giovane enfant prodige, Manes Bernardini. Poi è uscito dalla Lega, ha fondato il movimento Insieme Bologna, ma nel frattempo si è un po’ perso. Troppe aspettative, dicono. Diverso il discorso per i Cinque stelle, dice Pasquino, che “ci prova e gioca sulla insoddisfazione di parte dell’elettorato di sinistra, quello che forse comunista non è mai stato, ma è di sinistra” (la candidata è Michela Montevecchi). Max Bugani, molto vicino alla Casaleggio Associati e consigliere comunale, si diverte assai nel diffondere fotomontaggi di Casini con la divisa militare sovietica mentre tiene in braccio un bambino biondo con la bandiera comunista. Il compagno Pier Ferdinando.

  • David Allegranti
  • David Allegranti, fiorentino, 1984. Al Foglio si occupa di politica. In redazione dal 2016. È diventato giornalista professionista al Corriere Fiorentino. Ha scritto per Vanity Fair e per Panorama. Ha lavorato in tv, a Gazebo (RaiTre) e La Gabbia (La7). Ha scritto cinque libri: Matteo Renzi, il rottamatore del Pd (2011, Vallecchi), The Boy (2014, Marsilio), Siena Brucia (2015, Laterza), Matteo Le Pen (2016, Fandango), Come si diventa leghisti (2019, Utet). Interista. Premio Ghinetti giovani 2012. Nel 2020 ha vinto il premio Biagio Agnes categoria Under 40. Su Twitter è @davidallegranti.