Il Pd ferma l'opificio delle false promesse
Un piano da 40 miliardi di buon pragmatismo, utile per una grande coalizione
Matteo Renzi aveva annunciato che il Pd non avrebbe proposto effetti speciali né promesse irrealizzabili. E ha intitolato il programma presentato all’Opificio Golinelli di Bologna “Cento per cento. Cento passi avanti”, un richiamo a metà tra il film di Marco Tullio Giordana sull’assassinio di Peppino Impastato e il sentiero stretto praticato da Pier Carlo Padoan e Paolo Gentiloni. Né abolizioni di riforme, come quella Lega-5 stelle della legge Fornero, né flat tax, né anti europeismo. Invece, aggancio di ognuno dei cento capitoli a quanto fatto finora dal renzismo di governo. “Quando sarà finito l’odio ideologico ci sarà il riconoscimento delle riforme”, dice Renzi.
Dunque il primo punto, “una misura universale di sostegno di 240 euro, come detrazione fiscale, per i figli a carico fino a 18 anni e di 80 fino ai 26 anni” è collegata agli 80 euro dati finora ai dipendenti con stipendi fino a 1.500 euro. Il limite di reddito familiare previsto è 100 mila euro; il costo è di 9 miliardi. La seconda e rilevante misura è la riduzione di 4 punti in quattro anni del cuneo contributivo per gli assunti a tempo indeterminato, dal 33 al 29 per cento; collegamento con il Jobs Act.
A questo filone appartengono anche il salario minimo legale (non quantificato), una buonuscita per i precari non stabilizzati, la tessera ferroviaria gratuita di sei mesi per chi perde il lavoro, la riduzione ulteriore dell’Ires e dell’Iri per le piccole imprese fino al 22 per cento, “uno dei livelli più bassi in Europa”. Ma anche la legge sulla rappresentanza sindacale per evitare scioperi delle micro sigle. Al sostegno alla natalità è invece collegato un sussidio da 400 euro al mese per i primi tre anni; così come un piano nazionale di asili nido da 100 milioni l’anno per tutta la legislatura. In chiave che un tempo si sarebbe detta “anti bamboccioni” (termine aborrito da Renzi) è invece la detrazione di 150 euro mensili fino al reddito di 30 mila “per agevolare chi decide di uscire da casa fino a 30 anni”: misura mutuata dal Reddito base di emancipazione che sta funzionando in Spagna.
Ai lavoratori autonomi e alle partite Iva si rivolge l’estensione degli 80 euro, con tetto di reddito di 26 mila euro; l’aumento delle deduzioni Imu per fondi di professionisti, artigiani e commercianti e la denuncia dei redditi precompilata. Mentre alle imprese è destinata l’estensione oltre il perimetro attuale dei Pir, i Piani di risparmio per finanziare le piccole aziende, e l’impegno a vigilare sull’attuazione degli investimenti già stanziati in infrastrutture a cominciare dal sud; oltre alla trasformazione strutturale del Patent box per i brevetti, che ingloberà un credito d’imposta per ricerca e sviluppo. Scuola e formazione meritano la promessa di portare a 100 mila gli studenti degli istituti tecnici, e 150 ore retribuite per l’aggiornamento professionale nelle aziende, e soprattutto l’assunzione di 100 mila ricercatori universitari. Per il resto il Pd cerca di raggiungere tutti i settori della società: dalla professionalizzazione dei dirigenti dei musei alla ulteriore riduzione del canone Rai (con azzeramento “per i meno abbienti”), a un mese di servizio civile per ragazzi – nel 2017 sono stati 50 mila rispetto agli 800 del 2013 –, agli ecobonus e alle colonnine per le auto elettriche.
Alla Sanità viene promesso un aumento di fondi, da destinare alla ricerca e ai medicinali oncologici, e alla digitalizzazione per ridurre le liste di attesa. Così come agevolazioni fiscali per le aziende farmaceutiche (stessa cosa per il turismo). I diritti civili comprendono la parità di trattamento economico per uomini e donne, e anche lo ius soli per i figli di immigrati nati in Italia. La parte macroeconomica punta a risparmiare un punto di pil (17 miliardi) con la digitalizzazione della Pa; a ridurre la disoccupazione dall’11 al 9 per cento (dal 32 al 20 quella giovanile); a ridurre il debito dal 132 al 100 per cento del pil. Ma anche, negli accordi europei, a “tornare ai parametri di Maastricht” che fissano il tetto di deficit al 3 per cento. Quanto costa? Secondo stime imparziali, 40 miliardi a regime. Cioè 2,3 punti di pil, che nello slalom tra deficit “secondo Maastricht” e riduzione del debito, possono venire solo dai risparmi di spesa e dalla crescita, che Renzi ambisce a portare sopra “il 2 per cento”. Gli effetti speciali non ci sono, né le promesse mirabolanti. Su tutto aleggia un’aura minimal-gentiloniana. Oppure chiamala un “sano e rassicurante” pragmatismo: una interessante miscela tra una camomilla e una red bull, perfetta per una grande coalizione.