Aria di Palazzo

Il ruolo dei social network nella campagna elettorale delle bufale

Redazione

Così su Facebook e Twitter si amplifica la portata delle improbabili proposte avanzate dai partiti

Hanno esagerato, un po’ tutti. Sono partiti decisamente troppo presto con le promesse, per ansia da prestazione o per insicurezza (di solito, la stessa cosa). Il risultato è abbastanza paradossale. Invece di imporre agli avversari un proprio punto di agenda, obbligandoli a confrontarsi con questo, i leader dei partiti hanno tutti insieme inconsapevolmente costruito un frame di campagna elettorale all’interno del quale sarà per tutti molto scomodo e faticoso muoversi: è la campagna delle bufale; degli impegni impossibili da mantenere; dei punti di programma inverosimili. I social hanno tanti difetti ma anche il pregio di beccare subito, e amplificare, un dolente e/o sfottente senso comune, sicché ora trattano Di Maio e Renzi, Salvini e Grasso, Berlusconi e Grillo sostanzialmente allo stesso modo: come dei ciarlatani disposti a qualsiasi esagerazione pur di raccattare voti. Non par vero ai giornaloni di recuperare ruolo e onore perduti, ai danni di chi normalmente li ignora o li insolentisce, con paginate di rigorosi e severi fact-checking, infografiche efficaci, impietosi e auto-compiaciuti editoriali dai quali si deduce che l’Italia di tutto avrebbe bisogno, meno che di una qualsiasi delle proposte elettorali lanciate dai partiti ai nastri di partenza della campagna.

 

Nel 2006 Silvio Berlusconi completò la memorabile rimonta ai danni di Prodi con la botta dell’abolizione totale dell’Ici, piazzata all’ultimo minuto dell’ultimo giorno nell’ultimo confronto televisivo moderato da Vespa. I social non esistevano, il fact-checking poté durare al massimo poche ore su pochi giornali, neanche un leader noto per la propensione a esagerare con le promesse dovette pagare dazio per la propria invenzione. Al contrario, ne trasse enorme e quantificabile vantaggio. Ma era già successo. Dieci anni prima, la carta della credibilità contro l’approssimazione era stata giocata a sorpresa da Giovanna Melandri per conto dell’Ulivo contro Fini durante un altro famoso confronto televisivo, collettivo quella volta, da Lucia Annunziata, ad appena tre giorni dalle elezioni.

 

Sono precedenti incoraggianti per chi si sente ora in svantaggio e conta su recuperi anche last minute. Solo che stavolta, dovendo appunto fare i conti con il frame di una incredulità e diffidenza diffuse e trasversali, bisognerà stare molto attenti a calibrare eventuali colpi a sorpresa. Con l’aggravante che ora il clima lo definisce anche molto il web, cioè un luogo politicamente molto presidiato nel quale la demolizione di una promessa elettorale può compiersi nell’arco di una notte.

 

Guardare l’Europa

 

Se ne potrebbe trarre la conclusione, positiva, che al momento cruciale il populismo divora se stesso, o meglio induce nell’opinione pubblica la formazione di anticorpi che fino ad allora riposavano pigri. Alcune altre elezioni recenti in Europa hanno raccontato la stessa storia. Con una caratteristica, però: che in Francia, in Germania e in parte anche nel Regno Unito erano in campo soggetti politici importanti che si sono offerti come alternativa credibile, “naturale”, a elettori estenuati dai fuochi d’artificio populisti. In Italia un’analoga proposta politica altrettanto forte, determinata, coraggiosa nel proporre solo affidabilità e pochi colpi ad effetto rischia di non esserci. A meno che Forza Italia e Pd non si sbrighino a emendarsi delle rispettive propensioni, storiche o più recenti, a spararla grossa, talvolta perfino più grossa dei professionisti della bufala.

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