Il ministro Dario Franceschini inaugura 4 nuove domus agli scavi di Pompei (foto LaPresse)

Scatta il momento Franceschini

Salvatore Merlo

Popolarità, share tv e uomini ovunque. L’altro candidato premier

Nei momenti di passaggio e di crisi, lo spirito, se non soffia dove vuole, si rifugia dove può. E dopo le elezioni che forse nessuno vincerà, quando Sergio Mattarella dovrà mettere in opera lo schema gran coalizionista che da settimane ormai il Quirinale ripassa e verifica, come fosse la formula di un esperimento chimico pericoloso e instabile, tutti si porranno una sola domanda, cercando di disegnare nell’aria un profilo, un volto: chi è il rifugio? Chi potrà mai tenere insieme la trama del presidente della Repubblica, presidiare la pace domestica, trattenere le ubbie di Silvio Berlusconi, organizzare la matassa del Pd di Matteo Renzi, maneggiare la materia proteiforme della sinistra di Pietro Grasso? C’è Paolo Gentiloni, certo. Ma c’è un altro nome portato in queste ore dal vento di Palazzo, un uomo in cui tutto svela l’impegno d’una vocazione stabilita ormai da mesi, mantenuta nell’intonazione, nella misura delle parole, nella scelta delle frequentazioni e persino nel sorriso: Dario Franceschini.

  

Andato in televisione da Lilli Gruber, ieri mattina il ministro della Cultura si è svegliato con una sorpresa che un po’, ammesso che queste cose contino – e contano, pare – ha accelerato il ritmo della sua legittima e tumultuosa ambizione. La sua partecipazione a “Otto e mezzo”, assieme allo storico dell’arte Tomaso Montanari, ha infatti registrato un record di ascolti. L’antipopulismo pacato di Franceschini – “in questo momento c’è molto bisogno che gli italiani usino la ragionevolezza”, ha detto, “governare un paese è una cosa complessa e difficile. Non ci si può improvvisare” – l’altra sera ha conquistato sette punti di share, facendo di “Otto e mezzo” la quarta trasmissione più vista della prima serata, subito dopo “Un posto al Sole”. E considerato che il ministro della Cultura, tenendosi lontano dalle polemiche, accarezzando la sinistra scissionista, dicendo persino non male di D’Alema, è il membro del governo che gode di maggiore popolarità (32 per cento), considerato tutto questo si capisce che c’è più di un motivo se il suo nome vola nell’aria e passa attraverso i fili nascosti che nel Palazzo portano a ogni orecchio le quotazioni degli aspiranti presidenti del Consiglio.

  

Felpato e abile, Franceschini non ha solo dispiegato un abbacinante carosello di strategie minuziose, comparsate tivù, interviste celebrative, pensieri rotondi come le cupole e millimetrici ammiccamenti. Potenza strisciante e monocorde, vecchia storia democristiana, il ministro ha opportunamente piazzato suoi uomini dovunque, in questi mesi e anni, un po’ come fece nel 2013 quando mise cinque dei suoi nella segreteria di Renzi, quando contemporaneamente sosteneva anche Enrico Letta, così che, mentre i due litigavano, lui poteva studiare chi fosse il più forte, quello con il quale alla fine schierarsi. La sua è da sempre una trama immateriale eppure solidissima di interessi e relazioni, sinuosa, incolore, pervasiva, discreta, trasversale, mai pungolata dall’esibizionismo. Oltre a essere amico di Sergio Mattarella, che nel 1999 lo sostenne al congresso del Ppi, Franceschini è anche una vecchia conoscenza del segretario generale del Quirinale, che qualcosa conterà nel momento decisivo. E al momento opportuno tornerà pure utile che il suo ex portavoce, Piero Martino, l’uomo che gli deve tutto e che lui elevò al rango di deputato, è adesso uno dei fondatori di Liberi e uguali, con il ruolo di responsabile della comunicazione nel partito di Pietro Grasso. Un piede al Quirinale, uno nella sinistra della scissione, dunque. E c’è evidentemente del metodo, nonché del genio. Abbastanza da offrire, nel palazzo della politica, nel pissi pissi di corridoio e di gabinetto, il presentimento d’una sua assunzione, d’una sua fuga verso l’alto, miracolosa e totale. “E’ un momento Franceschini”, dicono tutti, pronti a farsi trasportare da quell’inevitabile deriva del destino che nei momenti di crisi porta gli uomini rifugio fin sopra il trono di Palazzo Chigi.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.