Taormina, gli incontri del primo giorno del G7 (foto LaPresse)

Con le elezioni vicine, Renzi dovrà decidere da che parte stare: Merkel o Trump?

Germania e Francia sono entrati nella stagione della piena e dichiarata emancipazione dagli Stati Uniti

Prendiamo per buono almeno uno degli argomenti di Matteo Renzi sulle elezioni autunnali: l’opportunità e l’utilità di allineare la scadenza italiana a quella tedesca, avvicinandola quanto possibile a francesi e inglesi. Volando alto, si può pensare che in questo modo l’Italia possa presentarsi a pieno titolo e in buona salute politica ai nastri di partenza della nuova stagione europea. Quando, come hanno ripetuto nell’arco di poche ore Angela Merkel, Emmanuel Macron e Mario Draghi, si potrà perfino rimettere mano ai trattati. Peccato che per ora Renzi si occupi di riallineare le date, ma il livello, la qualità e i temi dello scontro politico-elettorale rimangano molto distanti da quelli europei. La svolta è proprio di questi giorni, di queste ore: in Italia sembra che pochi se ne siano accorti e nessuno abbia voglia di scartare dal noioso binario locale.

  

Del G7 di Taormina Renzi, nella sua newsletter, ha apprezzato la bellezza della location e l’efficienza dell’organizzazione. Tutto vero, peccato che, più che per il panorama, il vertice rischi seriamente di passare alla storia come il più politicamente denso di tutti. Il momento in cui l’Atlantico s’è allargato a dismisura e un paio di paesi europei – la Germania e la Francia, due qualsiasi – sono entrati nella stagione della piena e dichiarata emancipazione dagli Stati Uniti, col corollario di una speculare nuova reattività alle ingerenze russe nei processi politici ed elettorali occidentali e sulla cruciale questione siriana.

 

Il primo atto della Merkel appena tornata in patria è stato il clamoroso appello agli europei a riprendere in mano il proprio destino, non potendo più affidarlo agli americani, ottenendo su questa linea l’adesione dei rivali elettorali della Spd e una durissima replica di Trump.

  

Il primo atto di Macron, nelle stesse ore dopo lo stesso vertice, è stato dire in faccia a Putin cose che nessuno gli aveva mai osato rinfacciare direttamente, dall’appoggio ad Assad alla copertura dell’inquinamento delle elezioni francesi da parte dei media russi.

  

E’ chiaro, tutto va relativizzato, non siamo alla guerra d’indipendenza europea e tutti saranno rapidi a ricucire e ricomporre. Sta di fatto che in Germania e Francia il destino europeo è un importante tema elettorale, giocato in chiave di autonomia e di orgoglio nazionale e continentale, mentre se in Italia si parla di Europa è solo a proposito della tempistica della legge di stabilità: che dirà Bruxelles se la facciamo prima o dopo il voto anticipato? Insomma: c’è chi si occupa di storia, e chi di cronaca. In verità Paolo Gentiloni, chiudendo Taormina, aveva segnalato l’estrema politicità dello scontro appena consumatosi sotto i suoi occhi. Chiamato ieri, durante la conferenza stampa con Trudeau, a pronunciarsi tra Trump e Merkel, ha riproposto il concetto di quest’ultima del riprendersi in mano il proprio destino. Ma prevale la ricerca dell’equilibrio, né Gentiloni ha il ruolo per assumere una iniziativa.

  

Renzi, che dovrebbe farlo, finora ha mascherato dietro dichiarazioni di rispetto per il lavoro del governo il perdurante dispiacere per non essersi potuto mischiare ai grandi, né sa se potrà mai tornare a farlo. La campagna elettorale però spetterà a lui. Spetterà a lui decidere se farsi campione italiano di questo risorgente patriottismo europeo, macroniano e merkeliano, che implica una forma di conflittualità con la Casa Bianca che probabilmente Renzi sente innaturale. Oppure riproporsi come velleitario battitore di pugni sul tavolo, magari sulla base del segreto convincimento che fra Merkel e Trump, sulla questione rovente del surplus commerciale tedesco, la ragione in realtà sia dall’altra parte dell’oceano.

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