Donald Trump e Theresa May (foto LaPresse)

Quanto pesa alla May finire nello stesso angolo assieme a Trump

Paola Peduzzi

Londra alle prese con l’instabilità della Brexit. Oggi parla il premier inglese. Scontri interni al suo team (“come un flipper”)

Milano. La campagna elettorale britannica è ricominciata dopo la sospensione dettata dall’attacco terroristico a Manchester, da ieri è tornata in campo anche Theresa May, premier inglese, che ha gestito (bene) l’emergenza e poi è andata al G7 a Taormina a occuparsi di accordi internazionali. Il ritorno però non è stato dolce, e se i sondaggi registrano un calo sempre più preoccupante dei Tory (è vero, i sondaggi spesso sbagliano, ma ignorarli del tutto non è possibile), a infastidire il premier sono i battibecchi e gli scontri che stanno diventando la norma attorno a lei .

 

Il primo e più grave affronto – per quanto non inatteso – è arrivato da Angela Merkel, la cancelliera tedesca che, rientrata da Taormina, è andata a un evento elettorale a Monaco, in Baviera, e prima di bere una grande birra ha detto che non bisogna fare troppo affidamento sull’America di Donald Trump e sul Regno Unito incamminato verso la Brexit: è bene che l’Europa impari a badare a se stessa, a dotarsi di un’indipendenza nuova. Jeremy Cliffe dell’Economist ha scritto un’analisi sulle dichiarazioni della Merkel molto accurata (e citatissima) in cui spiega che la cancelliera parla a un pubblico specifico, e quello di fronte a lei a Monaco aveva una rilevanza strategica non indifferente in vista del voto tedesco del 24 settembre prossimo. Ma Cliffe sottolinea anche come la Merkel abbia voluto introdurre una parificazione “TrumpandBrexit” che a Londra è inevitabilmente accolta con spavento. Mentre la May punta sulle opportunità della Brexit da cui, secondo la sua retorica, tutti potranno guadagnare qualcosa, la Merkel sottolinea che l’imprevedibilità trumpiana e quella dell’uscita del Regno Unito dall’Ue vanno nella stessa direzione, e che per gli europei è necessario attrezzarsi per evitare che gli effetti di scelte nazionali si ripercuotano in modo deleterio sugli stati spettatori, per quanto alleati.

 

Oggi Theresa May terrà un discorso sulla Brexit che, secondo quanto anticipano i giornali inglesi, riprenderà gli spunti introdotti all’inizio dell’anno durante il discorso definito “Brexit-vuol-dire-Brexit”, quando il premier disse che il Regno Unito uscirà dal mercato comune e che “nessun accordo è meglio di un brutto accordo”. La May ha la priorità di rassicurare l’elettorato inglese e di spiegare come l’uscita dall’Ue garantirà al paese una società più ricca e più giusta, che è il fondamento della proposta conservatrice per il voto dell’8 giugno. Il tono della May sarà ben più ottimista, liberale e aperturista di quello tendenzialmente utilizzato da Trump, ma l’effetto complessivo sul pubblico al di fuori dei confini inglesi potrebbe essere paragonabile a quello che ottiene spesso il presidente americano: “L’interesse britannico prima di tutto”, che per il resto del mondo non significa affatto più ricchezza e più equità. E per quanto il voto in ogni paese sia inevitabilmente egoistico, alla May non piace ritrovarsi, in questo momento di grandi divisioni e ripensamenti, nello stesso angolo in cui viene piazzato Trump.

 

Se al contesto internazionale si somma anche il calo di consensi, si capisce perché il team May è così agitato. Nel fine settimana i retroscenisti si sono accaniti sul manifesto conservatore, che è la causa scatenante – prima di Manchester, prima del G7, prima delle parole della Merkel – della battuta d’arresto della cavalcata conservatrice in vista del voto. Alcuni media hanno riportato le parole di candidati conservatori che sostengono che il manifesto – e in particolare la questione del welfare e delle spese sanitarie a carico degli anziani – dovrebbe essere ritirato, cancellato, seppellito: il costo in termini elettorali è troppo alto. La May ha già fatto un passo indietro, ma le sue “precisazioni” sono state vissute più come una debolezza che come una chiarificazione. Si dice poi che ci sia stato uno scontro interno al team della May, in particolare tra i due “pretoriani” che finora sono stati dipinti come alleati inossidabili: Nick Timothy, che sarebbe l’autore della misura sugli anziani (e non si sarebbe consultato con altri se non con la May), e Fiona Hill, guardiana dell’immagine e del pensiero della May. La Hill si sarebbe avvicinata a Lynton Crosby, guru elettorale che all’indomani della querelle sul manifesto ha subito denunciato l’errore e il rischio che ora corrono i Tory. L’effetto di questi battibecchi non è confinato al Regno Unito: la May “è la pallina che viene lanciata in due flipper, quello di Timothy e quello di Hill”, ha detto una fonte diplomatica europea al Times, e questo non fa bene alla sua credibilità di leader “forte e stabile” ma enfatizza anche le similitudini con Trump, alle prese da sempre con liti reality-style dentro al suo staff.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi