Foto LaPresse

Tutti i "non detti" di Taormina che fanno perdere rilevanza al G7

Gianni Castellaneta

Molta freddezza, dichiarazioni di intenti e poco più all’incontro dei “grandi”. Come esce l’Italia dall’incontro?

Alla fine ci siamo lasciati alle spalle anche questo G7, un evento in chiaroscuro, in cui le cornici meravigliose del Teatro greco e dell’hotel San Domenico non sono state accompagnate da risultati altrettanto positivi. Si può dire che a Taormina sia stato decretato, seppur implicitamente, quanto già evocato in passato, ovvero la perdita di rilevanza del G7 come forum di potenze occidentali, portatrici dei medesimi valori, il cui valore aggiunto era quello di riuscire a influenzare l’agenda multilaterale. Oggi, con il mutamento dei rapporti di forza e con l’ingresso nel club di un “free rider” come Donald Trump, la progressiva perdita di rilevanza del G7 ha subìto a Taormina una brusca accelerazione che non può essere occultata dalla family photo al Teatro greco o dal sublime concerto eseguito dalla Filarmonica della Scala. Anzi paradossalmente la bellezza del panorama siciliano e la classe con cui l’Italia ha presieduto l’evento (che è stato un successo dal punto di vista organizzativo) hanno provocato uno stridore con le evidenti difficoltà nella discussione tra i leader, che non sono state celate per la stessa ammissione di Angela Merkel e in parte di Theresa May.

 

La dichiarazione congiunta contro il terrorismo, partorita frettolosamente al termine del primo giorno, è stata presentata dal premier Paolo Gentiloni come un successo, ma altro non è che l’ovvia riaffermazione della contrarietà al terrore in tutte le sue forme. I problemi di fondo sono stati altri, come testimoniato dal linguaggio del comunicato finale e dall’annullamento delle conferenze stampa di Trump e della Merkel. Il “non detto” dei leader americano e tedesco fa il paio con quanto affermato dalla britannica May, che non ha gradito la divulgazione su Manchester da parte di media statunitensi. Insomma, quello che a febbraio sembrava un rilancio deciso della special relationship tra Washington e Londra si è trasformato ora in un brusco raffreddamento delle relazioni bilaterali. Di Trump, come ha dichiarato la cancelliera tedesca, non ci si può fidare. Un giudizio che va oltre la critica alla sua presunta imprevedibilità e che tocca invece l’essenza del messaggio “America First”, la difesa degli interessi nazionali e della supremazia di un paese sopra quelli di ogni alleanza.

 

La distanza che si sta creando tra le due sponde dell’Atlantico rischia di avere conseguenze profonde non solo sulla tenuta della coalizione fra le potenze occidentali (con un’Unione europea già indebolita dai negoziati per la Brexit e dallo spettro del populismo che ancora non si può dichiarare superato) ma anche sulle grandi questioni multilaterali, come commercio e lotta al cambiamento climatico. La parziale marcia indietro di Trump sul messaggio contro il protezionismo non sembra tradursi in una ripresa dei negoziati con l’Ue sul Ttip e altro non è che una mera dichiarazione di intenti. Ancora più grave è la presa d’atto – come emerge nel comunicato finale – della volontà degli Stati Uniti di rivedere la propria politica sul clima, che potrebbe portare la Casa Bianca a recedere dall’accordo di Parigi, con conseguenze pesanti a livello diplomatico nel breve periodo e ambientale nei prossimi anni.

 

Sbaglia chi pensa che un G7 diviso possa portare benefici alle relazioni internazionali e in particolar modo anche al nostro paese. Con un’America sempre più votata a risolvere le questioni con un approccio prevalentemente bilaterale, l’Europa rischia di divenire irrilevante e ancor più divisa al suo interno. Solo se le principali potenze dell’Ue sapranno parlare con una voce comune e ridare slancio al progetto di integrazione ci sarà la possibilità di bilanciare in parte il vuoto politico che gli Stati Uniti di Trump potrebbero lasciare in questi anni. Allo stato attuale, però, non ci pare di intravedere tale possibilità: ne riparleremo dopo le elezioni tedesche e, soprattutto, quelle italiane, e il messaggio “Europa First” non sembra per domani.

 

Già, l’Italia: come esce il nostro paese da Taormina? Gentiloni ha ottenuto a livello politico tutto quello (poco) che poteva fare nell’ambito della complessa situazione attuale. E’ riuscito a evitare una rumorosa rottura tra Germania e America ma non è riuscito a persuadere Trump al punto di fargli cambiare idea su alcune questioni cruciali. E’ un peccato che dalla Sicilia non siano giunti messaggi più forti sulle migrazioni, sul Mediterraneo e sulla Siria, scenari nei quali l’Italia ha l’interesse primario a mantenere la stabilità e un ruolo di leadership. Tanto più che il nostro paese sta per entrare in un periodo preelettorale che farà diminuire la proiezione internazionale e concentrerà il dibattito nei prossimi mesi tutto sullo scontro politico interno. Speriamo che il nuovo governo sia all’altezza delle sfide nel Mediterraneo e in medio oriente e che non “rinneghi” gli strumenti della Difesa in nome di una ingenua dottrina anti militarista. Altrimenti il G7 di Taormina potrebbe rischiare di essere stato l’ultimo in cui i leader occidentali si sono scambiati sorrisi amichevoli e strette di mano.