Il rancore del “puritanesimo politico” minaccia la democrazia e crea una “società giudiziaria”. Lo spiega Violante

Maurizio Crippa

La debolezza della politica, l’errore della Severino sull’incandidabilità

Un conto è denunciare che esiste una deriva giustizialista in Italia e uno sbilanciamento evidente tra i poteri costituzionali. Cosa che ormai solo le tricoteuses del circo mediatico-giudiziario negano. Un altro è affermare proprio, come ha fatto qualche giorno fa Luciano Violante in una lectio magistralis, “che il Codice penale è diventato la Magna Charta dell’etica pubblica”. E’ la presa d’atto di un salto di qualità, negativo, in ciò che sta accadendo alla democrazia italiana. Ed è anche l’approfondimento, notevole, di un giudizio critico e motivato. Perché “in Italia sta nascendo una società giudiziaria: ci deve preoccupare questa concezione autoritaria”, ha detto Violante, che ora al Foglio approfondisce il percorso logico della sua analisi. “Questa trasformazione verso una ‘società giudiziaria’ è grave innanzitutto perché implica una questione di etica pubblica. L’etica pubblica è frutto di un processo di decisione collettiva. Se i partiti diventano partiti personali, non c’è più nessun processo collettivo in grado di elaborare questa etica dell’agire pubblico, che invece è uno degli aspetti fondamentali del processo politico. Il puritanesimo politico che si sta imponendo entra in conflitto con il primato stesso dei regimi parlamentari: perché un Parlamento è luogo della pluralità, c’è un mutuo riconoscimento di persone e posizioni diverse. Il puritanesimo politico invece non riconosce le diversità; riconosce solo la delegittimazione e la sanzione, penale, di ciò che è diverso da sé. Ciò che è diverso da sé è per ciò stesso impuro”. 

 

Lei usa il termine puritanesimo, che è un termine religioso. “Sì, perché si tratta dello stesso fenomeno. Un’intransigenza che non conosce il potere negoziatore. Così nasce la società giudiziaria: una società che vede nella sola applicazione del Codice penale, e nella sottomissione al potere giudiziario, l’unico principio d’ordine. Ma tutto questo, questo puritanesimo politico, è estraneo alla dimensione negoziale che è propria della politica”. Un pericolo per la democrazia stessa: “Un potere politico puritano intrecciato a un potere strutturalmente non negoziatore come quello della giustizia penale: un rischio per la democrazia”.

Lei riflette su questi temi da parecchi anni, il suo libro del 2009 (Grillo aveva appena debuttato), “Magistrati”, si apriva con una citazione di Francis Bacon: “I giudici devono essere leoni, ma leoni sotto il trono”. Da allora la situazione, il giustizialismo diffuso nella società e la debolezza del potere politico rispetto a quello giudiziario, sembra ancora peggiorata. Come mai? “Innanzitutto io criticavo l’espressione di Bacon. I giudici devono essere indipendenti, non subalterni. Ma devono anche stare nel loro campo, senza invadere campi altrui. Il puritanesimo politico ha come base ed esito l’anti politica e affonda alcune sue radici nel rancore sociale. Ovvio, la politica è tenuta a evitare in ogni modo di essere censurabile sotto il profilo dei suoi comportamenti, e non soltanto sotto il profilo penale. Ma pensiamo a casi come quello di Incalza, di Graziano. ‘Il sistema Penati’, il ‘sistema Incalza’. Non si può non notare che l’apertura delle indagini è sempre roboante, mentre invece la chiusura è silente”. Colpa del sistema mediatico? “No, non soltanto. Il motivo profondo è che in quella risonanza data all’inizio è insito un rancore, e una domanda di vendetta che viene dalla società – a sua volta condizionata dalla stampa, basti ricordare l’effetto delle campagne contro la casta – e che trova nel puritanesimo politico l’ideologia che incarna e veicola questa volontà di vendetta”. Come mai questo rancore sembra aumentare sempre di più? “Perché aumentano le notizie di comportamenti illegali di chi appartiene ai pubblici poteri”.

   
“Inoltre” prosegue Luciano Violante, “quel rancore sociale ora ha trovato il canale politico attraverso cui esprimersi. E credo che ci sia una parte di responsabilità anche dei media”. La debolezza della politica, in questo processo, ha secondo Violante un peso importante: “Quello che era il primato della politica – non dei politici – è stato indebolito e rischia di essere completamente distrutto”. A ben guardare, però, questa deriva non può essere imputata soltanto ai partiti o ai movimenti che incarnano il “puritanesimo politico” di cui lei parla. E’ una debolezza che pertiene a tutto il sistema dei partiti attuale. “C’è un aspetto di debolezza legato alle stesse leggi elettorali. Pensiamo che nell’attuale Legislatura, ben 841 parlamentari sono stati eletti sempre con la legge Calderoli e quindi non hanno mai fatto una campagna elettorale. Si determina una oggettiva, inevitabile, mancanza di rappresentatività. Abbiamo un popolo senza rappresentanti, e rappresentanti senza popolo”.

 

Si può invertire questa tendenza? “Servirà una legge elettorale che, oltre alle ovvie caratteristiche di rappresentanza e governabilità, sappia anche ricucire il rapporto con gli elettori. Le faccio un esempio: i collegi uninominali piccoli della legge Mattarella consentivano l’elezione – sulla base di collegi di centomila abitanti alla Camera e di duecentomila al Senato. Non i 700 mila dell’Italicum ad esempio, che è impossibile incontrare. Ricucire quel rapporto è l’antidoto alla deriva anti politica che stiamo vivendo”.

   
La legge Severino è un altro caso di indebolimento del potere politico? “Io ho trovato discutibile la norma in base alla quale una eventuale condanna non definitiva rende incandidabile un cittadino. Chi candidare, è una delle decisioni che come prerogativa spettano ai partiti, non al potere giudiziario. Ma i partiti hanno delegato il potere giudiziario. Questo è sbagliato”. Qualcuno dice che la legge Severino è stata applicata soltanto a Berlusconi. Non sarebbe il caso di abolirla, o di emendarla? “Al momento penso che sia necessario aspettare un po’ di tempo, almeno due anni, per vederne bene gli effetti. Farlo oggi aprirebbe un vuoto legislativo e genererebbe confusione. Poi, come ogni legge, sarà rivedibile. Ma sulla base della sua concreta applicazione. Non sulla base delle emozioni”.

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"